Che quasi tutti almeno una volta nella vita abbiano giocato o anche solo sentito parlare di Super Mario Bros, è fuori discussione. Pubblicato nella sua prima versione nel 1985, il gioco della Nintendo ha fin da subito ottenuto un successo spropositato, riuscendo in poco tempo a conquistare grandi e piccoli, ed a rimanere fino ad oggi l’icona del mondo della cultura videoludica “amarcord”.
Non c’è da stupirsi, allora, se la sua popolarità lo ha reso co-protagonista di uno degli ultimi lavori di ricerca scientifica, pubblicato su Science Advances il 14 Luglio. Dovremmo forse sorprenderci se, nell’era in cui la robotica sta facendo passi da gigante, anche una mano robotica sia in grado di giocare ad un videogame?
Si tratta di un esperimento sviluppato da un gruppo di ricercatori dell’Università del Maryland, negli Stati Uniti, con l’obiettivo di realizzare un robot estremamente accurato nei movimenti senza alcun bisogno di corrente elettrica per funzionare. Realizzata mediante la tecnologia di stampa 3D, la nuova mano robotica non presenta alcun circuito elettronico interno, e fa quindi parte di uno dei settori emergenti della biorobotica: la soft robotics.
L’idea, come la stessa università ha spiegato, è quella di sviluppare robot flessibili e deformabili che siano alimentati ad aria o acqua, e che superino dunque la struttura rigida dei robot tradizionali. Il passaggio di uno dei due fluidi consente infatti di emulare un segnale elettrico e di azionare le parti malleabili del dispositivo inducendone il movimento. Perché, allora, non dimostrarne le capacità mettendola alla prova con uno dei più grandi giochi classici?
Il team, guidato dal Professore Associato di Ingegneria Meccanica Ryan Sokol, ha così istruito il robot a manovrare il protagonista omonimo di Super Mario Bros completando vittoriosamente il primo livello del videogioco in soli novanta secondi. Per rendere la mano robotica perfettamente in grado di maneggiare con precisione il controller, il team ha progettato un circuito integrato fluidico che permette alla mano di reagire in maniera diversa a seconda del tipo di pressione che il fluido esercita. L’attivazione di ciascun dito è dunque subordinata al valore di pressione che viene mantenuto costante per un certo tempo. Ad esempio: in assenza di pressione nessun dito si attiverebbe; per valori bassi si attiverebbe il primo; per valori medi si attiverebbe anche il secondo; raggiunto il valore massimo tutte e tre le dita entrerebbero in azione.
Joshua Hubbard, collega di Sochol e coautore dell’esperimento, ha affermato: “In precedenza ogni dito della mano robotica era collegato ad una specifica linea di controllo, limitando quindi la portabilità e l’utilità del prodotto finale. Adesso, stampando l’intera mano con i nostri transistor fluidici integrati, il dispositivo può funzionare anche con un solo input di pressione”. Se il nostro Mario è riuscito ad arrivare sano e salvo al termine della partita, gran parte del merito va quindi dato alla stampa 3D che ha reso possibile la realizzazione di un dispositivo con i circuiti idraulici già integrati e il controllo del movimento delle dita tramite un unico flusso.
Nella pubblicazione sono resi disponibili non solo i dettagli dei risultati ottenuti, ma anche i file di progettazione che definiscono la meccanica della pressione usata per controllare i movimenti delle dita. Chiunque può quindi accedere liberamente al codice open source, scaricarlo ed eventualmente modificarlo a seconda delle proprie esigenze.
Naturalmente, la partita a Super Mario in cui la mano robotica si è cimentata non rappresenta affatto lo scopo principale del lavoro bensì un simpatico test di quelle che potrebbero essere le sue potenzialità. Poiché le tempistiche di ciascun livello del gioco sono ben definite e anche un solo errore può compromettere la vittoria finale, la scelta di Super Mario come metodo di valutazione delle performance è sicuramente curiosa ma allo stesso tempo valida e fuori dagli schemi classici.
Al momento, gli sviluppi che stanno interessando la soft robotics in generale e il team di Sokol hanno come obiettivo principale il progresso tecnologico mediante la ricerca di materiali che imitino sempre di più le funzionalità e l’aspetto di quelli che si trovano negli organismi viventi. Il loro utilizzo permetterebbe ai robot morbidi di essere estremamente adattabili e sicuri, rendendoli quindi adatti ad applicazioni biomediche quali la progettazione di protesi personalizzabili e di moderni strumenti chirurgici o di riabilitazione. È chiaro, dunque, che la facilità con la quale le stampanti 3D consentono di realizzare in tempi brevissimi dispositivi del genere rappresenta un vantaggio enorme per la diffusione e l’accessibilità di questa nuova classe di robot.
Articolo a cura di Giovanni Maida