I robot che provano dolore

Un sistema nervoso robotico che permette di salvare componenti della macchina, e non solo. Credits: spectrum.ieee.org

I robot non sentono il dolore. E questo è molto importante per noi, perché possiamo far loro compiere lavori pericolosi senza preoccupazioni. Infatti quando noi ci facciamo male interrompiamo l’azione che stiamo facendo, ma in contemporanea salviamo noi e il nostro corpo. Così alcuni ricercatori della Leibniz Universität Hannover, in Germania, hanno pensato che facendo provare dolore ai robot avrebbero permesso loro di salvare le componenti della macchina.
È iniziato così lo sviluppo di una sorta di sistema nervoso artificiale per far sentire male ai robot, che permetta alle macchine di imparare cosa sia il dolore.

Perché i robot dovrebbero sentire il dolore?

Per lo stesso motivo per cui lo sentiamo noi: proteggersi. Provando dolore, un automa capisce che la situazione è pericolosa e può quindi reagire per evitare di danneggiare i propri motori e le componenti meccaniche o elettroniche.

Non solo, accorgendosi di un possibile danneggiamento i robot possono proteggere gli umani che li circondano. Infatti se una macchina ha un danno non identificato, le persone che lavorano a fianco o con questa potrebbero venire colpiti o feriti.

Come spiegano i due ricercatori, Johannes Kuehn e il professore Sami Haddadin:

Un robot deve poter determinare i contatti fisici, riconoscere il potenziale danno che potrebbero causare e iniziare appropriate contromisure, cioè, riflessi.
Per questa questo requisito dobbiamo tenere il modello umano come ispirazione, ovvero il modello umano dolore-riflesso è usato per progettare il modo in cui il robot sente il dolore e la sua reazione.

Il sistema sviluppato finora dai ricercatori permette al robot di sentire la pressione dovuta a una forza esterna e il cambiamento di temperatura della sua “pelle” artificiale e classificare il tutto in tre stati: poco male, media quantità di dolore e molto male.

Nel video, il braccio robotico Kuka viene messo alla prova (il sistema di rilevamento è posto all’estremita del robot).

Questa non è la prima ricerca incentrata sulla sicurezza del robot. Qualche anno fa alcuni ricercatori dell‘Università di Roma La Sapienza e della Stanford University avevano sviluppato un sistema che permettesse ai robot di evitare l’impatto con le persone, prevedendo il movimento delle stesse, mentre al Georgia Institute of Technology hanno insegnato ai robot a cadere per proteggere le loro componenti.

Insomma nello sviluppo dei robot, oltre a tenere conto della sicurezza dell’uomo (che rimane fondamentale in ogni ricerca) e della ubbidienza della macchina, ci si sta iniziando a preoccupare della incolumità del robot, in accordo con la fantascientifica terza legge della robotica ideata da Isaac Asimov:

Un robot deve proteggere la propria esistenza, purché questo non contrasti con la Prima (sicurezza dell’uomo) o con la Seconda (ubbidienza del robot) Legge.