La rivoluzione nelle nanotecnologie: i nanotubi di carbonio
Avete mai immaginato uno smartphone piccolo quanto una moneta? Non serve, vero? Ora immaginate un robot grande quanto una cellula, capace di distruggere o disattivare cellule tumorali senza necessariamente compromettere quelle sane, diversamente dalle attuali terapie. Potremo realizzare, in un futuro, tutto ciò grazie ai nanotubi di carbonio!
Le nanotecnologie segnano una vera e propria rivoluzione tecnologica ed hanno un ruolo determinante per il futuro dell’umanità, interessando numerose discipline quali la Biologia (manipolatori di materia biologica), Medicina (rivelatori di virus, monitoraggio di tumori, somministrazione selettiva di farmaci), Informazione (dispositivi nanometrici, nuovi algoritmi basati ora sulla fisica quantistica), ecc. L’introduzione dei nanotubi di carbonio (Carbon NanoTube), dall’acronimo CNT, sta contribuendo in gran parte a tale rivoluzione.
Nanotubi di Carbonio: cosa sono?
L’elemento base è il carbonio, cui atomo presenta 4 elettroni di facile interazione tra loro. Tanti atomi di carbonio ibridato sp2 formano una struttura planare a nido d’ape, chiamata grafene. Immaginiamo ora di prendere il grafene e, come se fosse un foglio di carta, di arrotolarlo in modo da avere un tubo cilindrico, chiudendone le estremità: abbiamo ottenuto così il nanotubo di carbonio.
La doppia identità dei Nanotubi di Carbonio
Chi ha detto che soltanto le persone possono avere più identità? Una delle particolarità dei nanotubi di carbonio è proprio quella di avere comportamento metallico (conduttivo) o semiconduttivo in base alla direzione dell’asse su cui viene avvolto il grafene!
Entrando nel merito, è possibile spiegare questo fenomeno tramite un grafico 3-D:
Si tratta del grafico a bande di energia della singola cella esagonale del grafene. La tendina superiore rappresenta la banda di conduzione e quella inferiore la banda di valenza e la conduzione può avvenire solo quando gli elettroni, normalmente in banda di valenza, riescono a saltare in quella di conduzione richiedendo energia in base all’entità del salto.
In corrispondenza dei vertici dell’esagono ci sono i punti di contatto delle due bande e se le linee di quantizzazione del nanotubo attraversano tali punti, esso ha comportamento conduttivo poiché gli elettroni sono liberi di circolare senza richiedere energia. In tutte le altre zone, invece ha comportamento semiconduttivo, ma mai isolante perché la distanza tra le due bande è sempre tale da permettere facilmente il salto.
Come si producono delle strutture così piccole?
Tutti i processi di produzione dei nanotubi di carbonio, senza entrare nei particolari, sfruttano la vaporizzazione del carbonio, mescolato con gas inerte e fatto condensare lentamente, usando un catalizzatore per allungarne la struttura. Le varie tecniche differiscono tra loro per velocità di produzione, lunghezza della struttura ottenuta e qualità del prodotto.
Cosa li rende così innovativi?
Innanzitutto, hanno un diametro compreso tra 0.6 e 1.8 nanometri, minore delle cellule animali e vegetali. Per quanto riguarda il trasporto di corrente, il limite corrisponde e 1000 volte la corrente tale da fondere il rame.
Riescono a tramettere quasi il doppio del calore massimo che riesce a trasmettere il diamante puro, e hanno circa metà della densità dell’alluminio.
Sono una ventina di volte più forti della migliore lega di acciaio, grazie ai legami covalenti, per non parlare della notevole flessibilità, e riescono a resistere nel vuoto fino a 2800°C.
Applicazioni: da fantascienza a realtà
Chi avrebbe mai pensato che si sarebbe arrivati all’ipotesi di costruire astronavi che si riparano da sole? Una fitta rete di nanotubi di carbonio, usata come superficie su astronavi, oltre che alleggerire la struttura e comunicare informazioni su eventuali danni causati da collisioni spaziali, sarebbe capace di auto-ripararsi! Questa rete sarebbe anche capace di contenere idrogeno liquido per schermare l’equipaggio dalle radiazioni cosmiche.
Inoltre, si è arrivati a costruire microfoni che simulano il comportamento dell’orecchio umano, usando i nanotubi come le cellule ciliate responsabili della trasformazione delle onde sonore a diverse frequenze in segnali elettrici.
Ma se tutto ciò è straordinario, lo è anche il loro uso come farmaci contro batteri che hanno sviluppato una certa resistenza agli antibatterici attualmente esistenti! Ma non finisce qui: filtri per gas tossici, batterie a ioni di litio più durature, monitor durevoli e ad altissima definizione, cavi quantici, azionatori per muscoli artificiali, celle a combustibile e tanto altro.
Approfondimento tecnico: i CNTFET
Parlando di dispositivi elettronici nanometrici, non si può pensare ai nanotubi usati singolarmente, così come per la microelettronica non si può parlare solo di silicio, arseniuro di gallio o altri materiali utilizzati per la produzione di transistor, ma si parla appunto di dispositivi elettronici che sfruttano tali materiali (MOSFET, MESFET, HEMT, JFET, ecc.).
I transistor che sfruttano i nanotubi di carbonio come canale sono i CNTFET, e tale applicazione deriva dalla capacità dei CNT di trasportare correnti elevatissime, come precedentemente visto.
La struttura dei CNTFET è analoga a quella degli altri dispositivi FET esistenti e si possono distinguere due diverse sottostrutture, back gate e top gate.
Le principali differenze sono che il back gate, visto in un circuito integrato insieme ad altri dispositivi uguali, condivide il gate con essi dal momento che si tratta del substrato stesso, perciò, le possibilità di accenderlo singolarmente sono limitate, a differenza del top gate che ha il gate indipendente.
Inoltre, per accendere il back gate servono alte tensioni rispetto al top gate, per l’elevato spessore dell’ossido di campo, per non parlare dell’esposizione diretta all’aria aperta del nanotubo, svantaggioso a livello elettrostatico. Quest’ultimo problema si risolve nel top gate perché esso è circondato interamente dall’ossido di campo, anche se meno spesso.
Con tale descrizione sembrerebbe che il back gate sia inutile, ma c’è da considerare la semplicità d’implementazione non indifferente rispetto al top gate.
A cura di Vito Garzone