Quando parliamo di realtà virtuale ci vengono subito in mente i dispositivi di ultima generazione, che garantiscono un’esperienza totalmente immersiva. L‘Oculus, l’HTC e il PlayStation VR sono in realtà figli di una famiglia nata negli anni ’60.
L’idea di volersi connettere a un mondo virtuale esisteva già da prima, ma solo in quel periodo sono cominciati i primi tentativi pratici. Certo, erano molto più ingombranti di quelli attuali, ma condividevano lo stesso desiderio di regalare all’uomo un’esperienza immersiva e coinvolgente.
Presentato come prototipo nel 1962, ma pensato e progettato già da alcuni anni prima, il Sensorama era una macchina creata per il cosiddetto “cinema d’esperienza”. Morton Heilig realizzò questa cabina in cui, oltre alla vista e all’udito, venivano stimolati anche i sensi di olfatto e tatto. Era presente infatti un tunnel del vento e un sistema di emissione di fragranze. Un progetto estremamente innovativo, fin troppo avanti rispetto al suo tempo. La macchina infatti aveva un costo eccessivo, e non ricevette nessun finanziamento dalle case cinematografiche statunitensi, rimanendo così un prototipo.
Il visionario Heilig non aveva in serbo soltanto il Sensorama. Tra i suoi progetti c’era anche un visore, incredibilmente simile a quelli attuali. Secondo il brevetto, avrebbe dovuto usare lenti con angoli di visione orizzontale e verticale di 140°.
Comeau e Bryan erano due ingegneri della Philco, un’azienda di elettrodomestici. Il casco era in realtà stato progettato per la videosorveglianza: permetteva di visualizzare le immagini di una videocamera a circuito chiuso nelle vicinanze. Grazie a un sistema di tracking magnetico, permetteva infatti di inviare le immagini a seconda di come l’operatore muoveva la testa, attivando la videocamera. Pur non essendo propriamente in grado di simulare la realtà, è stato il dispositivo che ha ispirato i visori degli anni a venire.
Anche se in questo caso si tratta di realtà aumentata e non virtuale, è interessante prendere in considerazione questo visore. Inventato da Ivan Sutherland nel 1968, vincitore poi del premio Turing nel 1988, la Spada di Damocle aveva due piccoli tubi catodici che proiettavano davanti agli occhi delle immagini 3D. A seconda della posizione della testa, il software utilizzato per l’elaborazione suggeriva la prospettiva delle immagini.
Atari, la leggendaria azienda di videogiochi, aprì un laboratorio di ricerca nel 1982 volto al campo della realtà virtuale. Zimmerman, uno dei due capi del progetto, mise a punto il DataGlove, un guanto che convertiva i movimenti della mano in segnali elettrici trasmessi attraverso le fibre ottiche. I guanti di questo tipo possono essere usati per controllare una mano virtuale e migliorare l’esperienza immersiva, attivando anche il tatto quando si toccano gli oggetti nel mondo virtuale. Non solo: nel campo medico, è fondamentale per la chirurgia a controllo remoto. Il guanto è stato ripreso poi nel 1989 dalla Nintendo, che lo chiamò Nintendo Power Glove e lo utilizzò per il famoso NES.
Gli studi di Thomas Furness per la U.S. Airforce diedero i suoi frutti nel 1982, quando venne sviluppato il SuperCockpit o VCASS (Visually Coupled Airborne Systems Simulator). Il cockpit (“abitacolo”) simulato al computer veniva utilizzato per far esercitare i piloti Americani dei caccia.
Il Virtual Interface Environment Workstation era un elmetto in cui il display poteva mostrare sia ambienti virtuali che reali, rendendolo così un visore sia di realtà aumentata che virtuale. Con l’aggiunta dei DataGlove, l’operatore poteva immergersi totalmente nell’ambiente e interagire con gli oggetti. Possedeva due schermi da 2.7 pollici ciascuno, che fornivano un angolo di visione di 120°.
Il Virtuality 1000CS rappresentò una grande svolta nell’industria della realtà virtuale, e fu tra i dispositivi più influenti degli anni ’90. Utilizzava il computer Amiga3000 per la gestione dei calcoli, e possedeva un visore per video e audio. Gli utenti si muovevano utilizzando un joystick 3D per interagire col mondo virtuale. Il costo fu ciò che portò al fallimento il progetto: 60mila dollari, che causarono vendite insufficienti.
Nel 1993 anche SEGA si inserisce nel mondo della realtà virtuale: SEGA VR utilizzava degli schermi LCD e sensori inerziali per il movimento della testa. Dal design lineare e pulito, il suo prezzo di partenza era 200 dollari, quindi decisamente abbordabile. Il visore però non fece mai successo: durante lo sviluppo dei giochi dedicati al dispositivo qualcosa andò storto, e non videro mai la luce. Questo causò la cancellazione anche del visore.
Una nuova ondata di dispositivi innovativi si ebbe a partire dal 2006. Sebbene non siano propriamente dispositivi VR, il Nintendo Wii Remote, il PlayStation Move e l’XboX Kinect rappresentarono svolte interessanti per quanto riguardava l’immersione nel mondo virtuale dal punto di vista dei controller. Il riconoscimento dei movimenti e l’impugnatura semplice e poco ingombrante rappresentarono una maggiore immersione nel gioco e soprattutto una forte ispirazione per le tecnologie di controllo di movimento, fondamentali nel mondo della VR.
Nel 2012 compare su Kickstarter una compagnia chiamata Oculus VR, che voleva creare il visore, a loro detta, più immersivo della storia. La campagna creata, che aveva come obiettivo 250mila dollari, ne raccolse 2 milioni e mezzo, e due anni dopo l’azienda venne acquistata da Facebook. Da quel momento in poi, i dispositivi per la realtà virtuale migliorarono sempre di più e vennero presi in considerazione da altre compagnie legate al mondo del gaming, come ad esempio la Sony.