Private Kit, l’app sviluppata al MIT, Institute of Technology di Boston, ha come obiettivo quello di tracciare i contagi da Sars-CoV-2 garantendo però la tutela della privacy della cittadini che la scaricano sul proprio smartphone. A capo del progetto c’è Ramesh Raskar, professore del MIT che ha chiamato a raccolta più di cinquanta tra suoi assistenti e collaboratori. Il gruppo ormai allargato a 500 è composto da informatici, epidemiologi e ingegneri e comprende anche tre italiani: Francesco Benedetti, Andrea Nuzzo ed Enrico Santus.

L’app, già presente su App Store e Play Store, è una di quelle proposte al ministero dell’innovazione Tecnologica e della Digitalizzazione. Si tratta di una combinazione tra GPS e Bluetooth in modo da poter essere costantemente tracciati e avvisati se si dovesse incrociare una persona positiva.

La sua forza è la protezione della privacy. In pratica i dati dei nostri movimenti non vengono salvati in un server centralizzato (come per esempio fa Google), ma sul nostro telefono. Nessuno potrà mai sapere dove siamo stati e con chi.

Chi sono i  tre italiani?

Francesco Benedetti, 31 anni, marchigiano, laurea in Ingegneria chimica a Bologna, tesi in Texas, dottorato in collaborazione con Stanford e MIT, è oggi ricercatore post-dottorato al dipartimento di Ingegneria chimica al MIT. Studia la cattura della CO2 e la riduzione dell’impatto dell’industria sull’ambiente. È lui uno dei primi ricercatori che il professor Ramesh Raskar ha chiamato a lavorare a Private Kit. 

Andrea Nuzzo, biologo computazionale alla multinazionale farmaceutica GSK (GlaxoSmithKline), 32 anni, ha realizzato modelli statistici preliminari sull’impatto che questa app potrebbe avere nel ridurre i contagi. Ha contribuito al primo White Paper e ora sta scrivendo il secondo in collaborazione con Harvard Medical School. Originario di Taranto, laurea e dottorato a Bologna in Biotecnologie Industriali e Ambientali. Nel 2017 si trasferisce all’University of Florida, dove si occupava di bioinformatica, data science e machine learning. Ora a GSK ricerca nuovi antibiotici e farmaci anti-infiammatori.

Enrico Santus, 33 anni, nato a Iglesias in Sardegna, è un ricercatore umanista arrivato al MIT con una specializzazione in Natural Language processing, un ambito dell’intelligenza artificiale che si occupa del linguaggio umano. Studi a Pisa, laurea in Lettere con 110 e lode. Poi PhD in linguistica computazionale a Hong Kong, Post PhD più orientato a Ingegneria a Singapore. Da lì, in un anno, è passato al MIT di Boston. Da qualche mese Enrico è Senior data scientist alla Bayer di New York. 

Come funziona Private-Kit

Innanzitutto l’app va scaricata sul proprio smartphone e da quel momento inizia a registrare la nostra posizione sul cellulare, fornendo anche l’opzione di importare le geolocalizzazioni di Google per capire dove siamo stati negli ultimi 28 giorni. Private Kit comincia dunque a registrare i nostri spostamenti e ogni 5 minuti li salva nella memoria del cellulare. Questi dati, che non sono accessibili ad altri finchè il proprietario dello smartphone non dà il consenso, restano disponibili per poter risalire alle persone con cui siamo entrati in contatto negli ultimi quattordici giorni. Un parametro modificabile, che adesso si adatta al tempo di incubazione stimato del virus.

Nel momento in cui una persona manifesta i primi sintomi ed è costretta ad andare all’ospedale, solo a quel punto potrà dare accesso al medico ai dati accumulati dalla app, sempre in via anonima e criptata. Il medico poi li carica in un server che aggrega i dati e invia un segnale a tutti gli utenti che utilizzano la app; la app incrocia i dati privatamente custoditi nel cellulare con quelli a disposizione del sistema sanitario e notifica all’utente se è entrato in contatto con una persona (sempre anonima) che è risultata positiva. 

Chi ha incontrato una persona positiva riceverà una notifica che avvertirà l’utente di aver incontrato un virus carrier e per quanto tempo. Chi non ha incontrato nessun positivo, non riceve alcun avvertimento e non ha accesso ai dati.

L’obiettivo è dare consapevolezza per aiutarci a proteggere noi stessi e i nostri cari. Se l’app sarà utilizzata da centinaia di migliaia di persone potrà davvero fare la differenza e anche avere una funzione rassicurante.

Sarà possibile sapere a quale ora ci siamo trovati in quale giorno e per quanto tempo, ma non chi altro era con noi in quel momento né dove. Ma dando alle persone la possibilità di capire di essere entrate in contatto con un positivo, diamo loro anche la responsabilità di agire di conseguenza. 

Il supporto dell’Oms

Ancora non è chiaro quale app o sistema operativo saranno scelti dal team della ministra per l’Innovazione tecnologica Paola Pisano. Di fatto, Private Kit è stata costruita in modo che possa comunicare con altri sistemi digitali utilizzando linguaggi standard, per favorire l’integrazione del suo modulo sulla tracciabilità con altre soluzioni altrettanto importanti per la gestione della pandemia.

L’app del Mit sta poi finalizzando la stipula del contratto con l’Oms, l’Organizzazione mondiale della sanità, e in questo momento è presa in considerazione da diversi governi, poiché ormai è chiaro a tutti che, in assenza di un vaccino, la battaglia al Coronavirus potrà essere vinta solo grazie al controllo e alla limitazione dei contagi. È un progetto open source, quindi aperto ai contributi di tutti, e free, cioè gratuito: nessuno può lucrarne, non può essere venduto.