Ecco le piante-robot: semi “smart” e radici artificiali

piante robot

I plantoidi, robot che crescono, evolvono e si comportano come piante, sono stati pensati e sviluppati da Barbara Mazzolai, vicedirettrice del reparto di robotica dell’Istituto Italiano di Tecnologia. Il primo esempio: i semi con radici artificiali.

“Il nostro lavoro è quello di studiare le piante e in particolare le loro capacità di movimento, di comunicazione e interazione con l’ambiente per poi cercare di replicarne le caratteristiche nel fare i cosiddetti plantoidi, un termine nato in analogia con quello di umanoide, ossia robot simili alle piante.”

Barbara Mazzolai

Il progetto

La dottoressa Mazzolai è una biologa con dottorato di ricerca in Ingegneria dei microsistemi ed è membro dello Scientific Advisory Board del Max Planck Institute for Intelligent Systems, ed è ormai da diversi anni che lavoro ad un progetto intento a creare una tipologia di robot che possa imitare il comportamento dei vegetali.

Il progetto ha richiesto diverse competenze ed è fortemente legato alla sua multidisciplinarietà. Sono state infatti necessarie nozioni di biologia, per studiare il comportamento delle piante e selezionare le capacità peculiari più interessanti, competenze in chimica e ingegneria dei materiali per definire al meglio la tecnologia da utilizzare, oltre naturalmente a competenze puramente ingegneristiche e robotiche per progettare e realizzare i robot.

I materiali utilizzati, ad esempio, dovranno essere biodegradabili e avere una struttura che permetta loro di essere trasportati e diffusi con dei droni.

L’obiettivo della ricerca

L’obiettivo del suo gruppo di ricerca si focalizza sul comportamento delle piante poiché queste sono capaci di dialogare in maniera costante con l’ambiente ed in perenne crescita. Per tale motivo i plantoidi sono pensati per crescere mediante l‘integrazione di nuovo materiale e sono guidati dagli stimoli che ricevono dall’esterno.

La peculiarità delle piante è quella di crescere in maniera pressoché indefinita dalle proprie estremità, ma sempre a fronte di uno stimolo sensoriale esterno. Non si stratta di una crescita casuale, bensì guidata dalle informazioni che l’organismo stesso riesce a raccogliere.

I plantoidi devono quindi essere capaci di percepire gli stimoli esterni e trasformarli in crescita finalizzata a adattarsi all’ambiente circostante e ad esplorarlo muovendo solo la parte terminale delle “radici” in modo da ridurre al minimo l’attrito e la forza richiesta per il movimento.

“Dobbiamo anche iniziare seriamente a pensare all’impatto che queste tecnologie avranno sull’ambiente. Oggi siamo circondati di strumenti tecnologici che invecchiano troppo presto e si trasformano in spazzatura molto inquinante e difficile da smaltire. Non possiamo studiare l’ambiente e poi contaminarlo: l’elettronica sostenibile è di certo una sfida molto difficile ma dobbiamo assolutamente affrontare il problema.”

Barbara Mazzolai

La robotica infatti, fino ad ora, si è concentrata per potersi integrare in ambienti fortemente antropizzati, la nuova sfida consiste nell’integrarsi negli ecosistemi naturali garantendone la sostenibilità. L’utilizzo di questa nuova specie di piante robot è infatti volto principalmente ad una causa ambientalista che permetta all’essere umano di monitorare ed eventualmente “aiutare” gli ecosistemi all’interno dei quali vengono utilizzai i plantoidi.

I-Seed: piante robot e semi artificiali

Un primo esempio di plantoidi è rappresentato da I-Seed, una tipologia di microrobot il cui comportamento si ispira a quelli dei semi: essi vengono rilasciati sul terreno e vi penetrano permettendo il monitoraggio di parametri come temperatura, umidità, fertilità del suolo, livelli di anidride carbonica e livello di inquinamento.

Essi sono capaci di muovere le loro radici artificiali, che fanno da sensori, all’interno del terreno per prelevare i dati sensibili.

Fonte: Istituto Italiano di Tecnologia

Le radici artificiali crescono aggiungendo alla sua struttura del materiale mediante additive manufacturing. C’è un motore che tira un rocchetto di filo di materiale termoplastico, che cambia la sua viscosità quando si scalda e che entra nella “testa” del robot. Ci sono poi delle ruote dentate che fanno sì che il filo sia sempre a contatto con la punta. Ogni nuovo strato di filo viene quindi scaldato, diventa appiccicoso e si attacca allo strato precedente. In questo modo, il robot crea il suo corpo strato dopo strato, come se fosse una stampante 3D miniaturizzata. L’essere umano ha però da sempre preso spunto dalla natura per inventare nuove tecnologie e come afferma Mazzolai stessa la bioispirazione può essere attribuita già a Leonardo da Vinci.

“La natura ispira l’essere umano fin da epoche remote. In un certo senso, Leonardo da Vinci potrebbe essere considerato il padre della bioispirazione. Rivolgere lo sguardo alla natura per fare innovazione è una strategia che appartiene non solo nella robotica, ma a tanti altri settori disciplinari. La robotica biosipirata rientra quindi nello scenario della biomimetica, dove la natura viene presa come fonte di ispirazione per risolvere dei problemi pratici e trovare risposte a delle esigenze concrete. Oltre alle piante, abbiamo studiato anche animali, soprattutto invertebrati, che ci offrono tantissime idee per la realizzazione di questi robot bioispirati che riproducono alcuni comportamenti e movimenti degli animali e delle piante”.