A dicembre scorso ha fatto scalpore l’abolizione, negli Stati Uniti, della net neutrality. Già da quando era stata avanzata la proposta, un mese prima, non si faceva altro che parlare delle conseguenze che avrebbe portato questa legge, se fosse passata. Alla fine, il 14 dicembre la proposta è stata accettata.
Sebbene molti sappiano di che cosa si tratta e che cosa comporta, c’è altrettanta confusione tra i meno esperti. Cerchiamo quindi di fare chiarezza e capire quali conseguenze porterà questa decisione.
Iniziamo con una definizione:
La neutralità della rete è un principio giuridico, riferito alle reti residenziali a banda larga che forniscono accesso a Internet, servizi telefonici e trasmissioni televisive. Viene ritenuta “neutrale” una rete a banda larga che sia priva di restrizioni arbitrarie sui dispositivi connessi e sul modo in cui essi operano, cioè dal punto di vista della fruizione dei vari servizi e contenuti di rete da parte dell’utente finale.
Questa è la rete come la conosciamo oggi, in cui, cioè, non si favorisce chi paga di più, ma ogni servizio viene trattato allo stesso modo. Questo concetto è nato all’inizio del 21° secolo, introdotto nel 2002 da Tim Wu. In un rapporto del 2003, vennero richieste regolamentazioni per garantire la libertà della rete, per evitare discriminazioni nella trasmissione dei contenuti.
La net neutrality impedisce ai provider di Internet di fare “favoritismi” sui contenuti in rete. Senza di essa, un provider potrebbe rallentare o bloccare la richiesta di connessione a uno specifico sito, richiedendo un pagamento al produttore dei contenuti in cambio del libero accesso al suo portale.
Netflix, YouTube e Facebook, ad esempio, non hanno una velocità maggiore per arrivare all’utente finale. Tutte le informazioni o servizi vengono trattati allo stesso modo nel web. Insomma, la Net Neutrality è il principio su cui Internet si è sempre basato. Almeno finora.
Un accesso paritario alla rete permette anche a piccole realtà di guadagnare il proprio spazio. Il successo lo fa la qualità dei contenuti, non quanto si è disposti a pagare.
Adesso invece, chiunque voglia ottenere una porzione di rete deve pagare, e ciò mette in difficoltà tutti quei piccoli produttori con disponibilità economica limitata. I fornitori di Internet quali AT&T o Verizon potranno d’ora in poi decidere cosa mostrare all’utente finale e cosa no. Quali contenuti privilegiare e quali bloccare. Queste compagnie potranno rallentare i loro competitor offrendogli una velocità minore, o richiedendo delle tasse extra da pagare per avere il proprio spazio sulla rete.
Ciò è particolarmente dannoso per quelle minoranze o piccole comunità che prima facevano di Internet la loro via privilegiata di comunicazione, se non l’unica. Allo stesso modo, le piccole startup o organizzazioni saranno oscurate dalle grandi compagnie che possono permettersi di pagare il proprio spazio nel web.
Eliminare la net neutrality significa rallentare la crescita, l’innovazione, la condivisione di idee. I colossi come Facebook, Google o Amazon sono riusciti ad affermarsi proprio grazie al libero accesso a Internet. Sono stati i loro contenuti innovativi a renderli grandi e apprezzati, partendo da zero.
Internet è sempre stato un mondo libero, in cui chiunque può creare e accedere a dati di diverso tipo. Permettere agli ISP di avere il controllo totale sui contenuti significa tarpare le ali a nuove potenziali innovazioni. Anche gli utenti “normali” ne risentiranno. I provider, col tempo, proporranno offerte per accedere a servizi che normalmente utilizziamo senza limitazioni.
Fortunatamente, il parlamento Europeo si è schierato contro questa decisione. In aprile sono state inoltre approvate nuove garanzie per la net neutrality. Per ora, quindi, possiamo stare tranquilli. Anche i nostri operatori Internet, però, vorrebbero gestire il traffico a loro piacimento. È bene quindi tenersi aggiornati, comprendendo la fondamentale importanza della libertà che la rete offre.