Il microchip cinese che (forse) ha spiato l’America

Bloomsberg e il presunto hack del microchip cinese

Da Bloomsberg arriva la notizia di un hack cinese portato avanti tramite un microchip. Ma ora la smentita delle compagnie colpite. Credits: pandaily.com

È Maggio 2015 e siamo in Canada. Un controllo di routine di Amazon sui suoi server fa scoprire l’impensabile: un microchip impiantato nella scheda madre, che non dovrebbe trovarsi lì. Chi vende i server è Elemental Technologies, che a sua volta acquista da Super Micro Computer Inc., azienda che ha i fornitori in Cina.

All’inizio di Ottobre arriva la notizia che 30 compagnie, compresa Apple, sono state colpite dall’attacco. Analisi approfondite hanno infine spiegato come funziona e per cosa veniva usato, ma negli ultimi giorni è arrivata la smentita da parte di diverse aziende.

L’obiettivo del microchip

La sua funzione principale era quella di aprire una backdoor direttamente sull’hardware, al fine di permettere un’intrusione in qualsiasi momento. L’obiettivo era controllare il traffico di dati, impartendo dei comandi che scaricavano un malware da un server, così da modificare il sistema.

I dati di interesse per gli attaccanti riguardavano i segreti aziendali, nonché l’accesso alle reti governative. Si tratta quindi di vero e proprio spionaggio. Al momento sembra esclusa la possibilità che i dati dei cittadini fossero anch’essi nel mirino.

Il microchip cinese in silicio accusato di spionaggio
La notizia di Bloomberg sull’attacco di spionaggio da parte della Cina. Credits: tomshw.it

Il dito è stato puntato contro specialisti dell’esercito, e quindi contro il governo di Pechino stesso. Anche i rappresentanti del governo cinese, però, si sono dichiarati vittime di questo attacco, rendendo difficile capire chi si celi davvero dietro.

Bugia o verità?

Negli ultimi giorni è arrivata la smentita di Amazon ed Apple, che sostengono di non aver mai trovato alcun chip e di non aver preso parte ad indagini dell’FBI. Bloomberg invece, il servizio di news che aveva pubblicato la notizia, sostiene la sua posizione.

Rob Joyce, un portavoce dell’NSA, sostiene che non esistano prove di quanto affermato dal network di notizie. Christopher Wray, direttore dell’FBI, davanti a una commissione del senato ha detto di non poter nè confermare nè smentire la veridicità della questione.

Il direttore dell'FBI Christopher Wray
Il direttore dell’FBI, Christopher Wray, svia le domande sull’hack. Credits: cnbc.com

Chi ha ragione, allora? Non si può ancora dire con sicurezza, ma è indiscutibile che le due parti si stanno giocando la reputazione. Non si sa quando questa vicenda avrà fine, ma una cosa è certa: la possibilità di utilizzare un chip per lo spionaggio è al giorno d’oggi tutt’altro che astratta.