L’algoritmo che salva i ricordi

Se una malattia non si può curare, forse si può aggirare. È questo ciò che alcuni ricercatori dell’Università della Carolina del Sud, insieme al centro medico Wake Forest Baptist Medical Center, hanno pensato. L’Alzheimer, come altre patologie neurodegenerative, possono fare dimenticare ciò che si è appena appreso. I ricordi passano per la memoria a breve termine, ma un problema cerebrale può impedire loro di raggiungere la memoria a lungo termine e vengono, così, dimenticati. Come si possono portare le nuove nozioni alla memoria a lungo termine?

Un algoritmo. Il cervello in effetti è più simile a un computer di quanto pensiamo. Per trasformare i ricordi a breve termine in permanenti vengono utilizzati particolari impulsi elettrici. A questo punto la difficoltà sta ‘solo’ nel capire che impulsi siano e come portarli artificialmente nel cervello. Molti test sono stati svolti in merito su animali e persone, cogliendo con degli elettrodi quali impulsi venissero utilizzati nell’ippocampo.

Sui pazienti, l’algoritmo riuscirebbe a tradurre i ricordi in lungo termine imitando i segnali elettrici che normalmente svolgono questo compito; tutto questo bypassando la parte cerebrale danneggiata. Ted Berger, ricercatore leader del progetto, ha espresso perfettamente il funzionamento della sua trovata ingegneristica:

È come riuscire a tradurre dallo spagnolo al francese senza capire nessuna delle due lingue.

Attualmente l’algoritmo è in grado di prevedere gli impulsi elettrici dell’ippocampo con un’accuratezza di circa il 90%. Il prossimo passo è riprodurre questi segnali nel cervello delle persone con danni cerebrali. Non c’è bisogno di conoscere il contenuto dei ricordi, una macchina riuscirebbe a fornire al paziente l’output elettrico necessario per portare i ricordi nella memoria a lungo termine. Tutto è pronto per il test su esseri umani e se funzionasse sarebbe un grandissimo traguardo per la biomedicina, facendo ricredere gli scettici che pensano che tale approccio ingegneristico non sia appropriato, perché il cervello non può essere considerato propriamente come un computer.

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Alessandro Luppi