Meta censura post sulla Palestina: inchiesta di Human Rights Watch

Meta

Un’inchiesta della ONG Human Rights Watch (HRW) ha rivelato che le piattaforme social di Instagram e Facebook, entrambe parte di Meta, hanno schematicamente censurato e oscurato post sulla Palestina. L’inchiesta è stata pubblicata in un report di HRW. La ONG ha ricevuto 1050 segnalazioni da utenti palestinesi o in supporto della Palestina, riguardanti post su Instagram e Facebook, prima di chiudere l’indagine. L’analisi di ogni segnalazione ha confermato che in 1049 casi un contenuto pro Palestina è stato cancellato o oscurato senza un valido motivo. Questa inchiesta si inserisce in un filone di inchieste di Human Rights Watch e altre ONG, che negli ultimi anni hanno dimostrato il comportamento scorretto di Meta nei confronti dei post sulla Palestina e hanno evidenziato le criticità delle policy di Meta sui contenuti da censurare o oscurare.

L’Inchiesta di Human Rights Watch

In un recente report, Human Rights Watch ha denunciato la censura schematica portata avanti da Meta nei confronti dei contenuti postati da utenti palestinesi o pro Palestina. Dopo l’attacco di Hamas del 7 ottobre 2023, la ONG ha pubblicato sui propri canali diversi post in cui chiedeva agli utenti di segnalare censure ritenute ingiustificate di post sulla Palestina. In meno di due mesi, HRW ha ricevuto 1050 segnalazioni, prima di chiudere l’indagine. Le 1050 segnalazioni sono state analizzate singolarmente. In 1049 casi è stata constatata una censura di contenuti postati da utenti palestinesi o pro Palestina. La censura è stata ritenuta ingiustificata, in quanto nessuno dei post incitava alla violenza e presentava contenuti violenti.

HRW ha inoltre denunciato che il proprio post, in cui si invitavano gli utenti a segnalare comportamenti scorretti di Meta, è stato più volte oscurato dalle piattaforme social e indicato come “spam”. Anche i commenti degli utenti che condividevano l’indirizzo email a cui mandare le segnalazioni sono stati più volte oscurati. La ONG ha denunciato diverse modalità ricorrenti con cui Instagram e Facebook hanno censurato dei post sulla Palestina, tra cui i più frequenti sono: rimozione di post, storie e commenti, sospensione o rimozione di account, restrizioni nelle interazioni degli account e shadow banning. Inoltre, il report rivela che, in centinaia di casi, gli utenti che hanno ricevuto la censura non hanno avuto la possibilità di appellarsi alla decisione o non hanno ricevuto chiare motivazioni di parte di Meta.

Post sulla Palestina. Human Rights Watch Meta
Fonte. Human Rights Watch

Le policy di Meta verso i post sulla Palestina

Nel suo report, HRW ha ricondotto la censura schematica di Instagram e Facebook ad alcune policy poco chiare o ingiuste di Meta. Nei casi in cui la rimozione del post è stata accompagnata da una motivazione, Meta ha dichiarato che il post non seguiva le linee guida riguardanti “Dangerous Organizations and Individuals (DOI)”. Questa policy impedisce la pubblicazione di contenuti che “sostengono propositi violenti o incitano alla violenza”. Giustamente, Meta ha l’obbligo di impedire la diffusione di contenuti violenti sulle proprie piattaforme. Tuttavia, HRW ha sottolineato che la policy in questione utilizza termini troppo vaghi, come “elogio”, “supporto” e “organizzazioni pericolose”. La ONG ribadisce, inoltre, che per definire le “organizzazioni pericolose” Meta si basa unicamente sulla lista di organizzazione pericolose e terroristiche rilasciata dal governo statunitense, in cui sono presenti anche molte organizzazioni palestinesi, e che non può essere adottata come unica fonte.

L’analisi di HRW ha evidenziato che la policy ambigua di Meta ha portato alla cancellazione di post che commentavano in modo neutrale azioni di Hamas o di altre organizzazioni politiche palestinesi. La stessa policy ha più volte indicato dei post critici nei confronti delle azioni di Israele e di Netanyahu come “linguaggio d’odio” e “pericolosi”, indipendentemente dal tono utilizzato, con la conseguente rimozione del contenuto. HRW ha ribadito che le criticità della DOI policy sono state più volte notificate a Meta, anche in passato. Nonostante l’azienda si sia impegnata a migliorare le proprie policy, nessun risultato è ancora emerso.

Notizie rilevanti e richieste dal governo israeliano

L’inchiesta ha rivelato anche altre ambiguità, riguardanti i contenuti considerati “rilevanti” dal punto di vista dell’informazione e le richieste di rimozione di contenuti da parte di enti governativi. Nel primo caso, HRW ha denunciato la poca chiarezza della policy di Meta nel definire un contenuto “rilevante”, e quindi permetterne la pubblicazione anche se viola altre policy (come la DOI). Ciò ha portato a casi di censura per notizie e post sulla Palestina, mentre post con tono simile su altri argomenti non sono stati oscurati.

Meta ha accolto anche la maggior parte delle richieste di cancellazione volontaria di post da parte della Israel’s Cyber Unit, un ente governativo israeliano di sicurezza informatica. Secondo l’inchiesta di HRW, Meta ha accettato la richiesta di censurare volontariamente i contenuti nel 94% dei casi. In totale, la Israel’s Cyber Unit avrebbe richiesto la rimozione di quasi 6000 post e contenuti su Instagram e Facebook. Le ONG denunciano la mancanza di trasparenza di Meta, la quale non ha mai chiarito la procedura per aderire alla richiesta di un ente governativo sulla rimozione volontaria di contenuti.

Giornalisti nella striscia di Gaza. Post sulla Palestina
Giornalisti nella striscia di Gaza documentano i bombardamenti di Israele, dicembre 2023. Fonte Time Magazine – Mohammed Al-Zanoun.

Censura ripetuta e sistematica di post sulla Palestina

Non è la prima volta che Meta è colta in atti di censura nei confronti di utenti palestinesi o pro Palestina. Era già avvenuto nel 2021, quando il piano delle autorità israeliane per appropriarsi di case di cittadini palestinesi a Gerusalemme Est aveva causato proteste e manifestazioni violente. In quel caso, HRW aveva documentato la censura del dibattito, che si era aperto su Facebook, sulla scelta del governo israeliano. La ONG aveva denunciato che Meta stava “silenziando molte persone in modo del tutto arbitrario e senza spiegazioni, replicando online gli squilibri di potere e gli abusi presenti sul campo”.

Dopo le accuse, Meta ha avviato un’inchiesta interna indipendente e ha annunciato che avrebbe rivalutato le proprie policy e migliorato le linee guida. Tuttavia, ancora oggi i passi avanti di Meta sono scarsi; la libertà di espressione sui suoi social non è garantita appieno, nonostante Meta permetta la pubblicazione di migliaia di notizie e post di critiche nei confronti delle azioni di Israele.

Libertà di informazione nel conflitto palestinese

Human Rights Watch sottolinea che l’atteggiamento di Meta si inserisce in quadro più ampio di avversione verso un dibattito aperto e libero sulla questione palestinese. Il 23 novembre 2023, in un’audizione alle Nazione Unite degli esperti hanno evidenziato il crescente clima globale di ostilità e criminalizzazione rivolto a coloro che mostrano solidarietà verso le vittime palestinesi o verso la causa palestinese.  Inoltre, la libera circolazione delle informazioni è stata più volte ostacolata dall’inizio della crisi nella striscia di Gaza, con ripetute interruzioni delle reti internet nell’area, che hanno impedito la diffusione di notizie, in molti casi riguardanti la violazione di diritti umani. Infine, il report di HRW riporta l’inchiesta del Committee to Protect Journalists (CPJ) sulle condizioni di sicurezza dei giornalisti nella striscia di Gaza. Secondo il CPJ, dal 7 ottobre sono morti almeno 64 giornalisti nel conflitto, di cui 57 palestinesi, 4 israeliani e 7 libanesi.