Green pass in un microchip sotto pelle: facciamo chiarezza sul complotto

green pass microchip

Il passaporto vaccinale è l’argomento più chiacchierato da quando, il 6 agosto scorso, il governo lo ha introdotto come misura per contrastare il contagio da Covid-19. Con le nuove restrizioni pensate per le feste è aumentata la confusione e le file in farmacia e nei drive-in per sottoporsi ai tamponi e poter accedere a locali e ristoranti. Mentre i no-vax continuano la loro “battaglia” contro il vaccino, arriva dalla Svezia una proposta che sta facendo molto discutere: l’uso di un microchip per portare il green pass sempre con sé.

Com’è prevedibile la notizia ha sconvolto molti e ha scatenato l’ira di molti complottisti che non aspettavano altro che un passo falso per accusare i governi di volerci controllare. Come al solito, però, la realtà è ben diversa da ciò che può sembrare.

Green pass in un microchip? La proposta

L’idea arriva da una startup vedese, la Epicenter, che ha proposto una soluzione per avere sempre con sé il certificato vaccinale. L’obiettivo è riuscire a mostrare in maniera più veloce il proprio green pass, usando un microchip al posto del QR Code. L’impianto, secondo quanto avanzato dalla startup, può essere letto e validato tramite la tecnologia NFC.

Gli impianti sono una tecnologia molto versatile che può essere utilizzata per molte cose diverse, e in questo momento è molto comodo avere il passaporto COVID sempre accessibile sul proprio impianto

Hannes Sjöblad, chief distibution officer di Epicenter

Niente più smartphone o cartaceo, quindi, e tempi di attesa molto ridotti. Basterà passare il polso o la mano su un lettore per ottenere il lasciapassare e poter accedere a ristoranti, teatri e luoghi di ritrovo. Ma quand’è che verrà messa in pratica l’idea?

Il green pass potrebbe essere inserito in un microchip?
Il green pass potrebbe essere inserito in un microchip?

Inserire il green pass in un microchip sottocutaneo è, sottolineiamo, solo una proposta di Epicenter, destinata a far parlare di sé e molto probabilmente a non essere messa in pratica. Al momento nessun governo ha preso sul serio l’idea: oltre all’enorme polemica che scatenerebbe (e lo ha già fatto, pur essendo solo un’idea), non ci sarebbero interessi economici dietro questa scelta. Il QR Code è un metodo già abbastanza veloce, e nessuno sente la necessità di sconvolgere il processo di controllo del green pass.

In ogni caso, Epicenter ha voluto informare che la tecnologia è reversibile. Il microchip verrebbe impiantato con una siringa nella mano, sul polso oppure tra le dita: un semplice click per avere qualsiasi informazione con sé. In modo analogo, il chip può essere rimosso in poco sforzo. Per quanto lontana ci possa sembrare questa idea, Epicenter l’ha già messa in pratica da molti anni (ma non per il green pass).

Epicenter e i microchip

La startup svedese non è nuova ai microchip sottopelle: già nel 2015 Epicenter aveva annunciato di aver impiantato i dispositivi a più di 100 dipendenti. I chip vengono usati come badge e apriporte, ma anche per acquistare cibi e bevande dalle macchinette e per usare stampanti o altri dispositivi in ufficio.

Il tempismo con cui Epicenter ha proposto un microchip sottocutaneo per il green pass è davvero terribile. D’altra parte, il modo in cui la notizia è stata proposta ha peggiorato le cose, scatenando uno scandalo inesistente. L’idea della startup non è da demonizzare, anzi: l’uso di microchip sarà probabilmente il futuro delle società, ma avverrà in maniera graduale e con le dovute precauzioni di sicurezza.

Il logo di Epicenter, la startup che ha proposto di usare un microchip per il green pass. Fonte: Epicenter
Il logo di Epicenter, la startup che ha proposto di usare un microchip per il green pass. Fonte: Epicenter

Anche in tutta la Svezia, in realtà, questa pratica è già in uso da alcuni anni. Molti cittadini hanno già scelto questa procedura per “velocizzare” le attività quotidiane: i chip vengono usati per memorizzare biglietti, badge o abbonamenti, oltre che informazioni sanitarie e contatti di emergenza.

Non è chiaro se la startup abbia proposto la soluzione per far parlare di sé o perché ha davvero intenzione di seguire questa strada. Quel che è certo è che non si sta parlando d’altro e la disinformazione, come al solito, dilaga più del virus.