J.A.R.V.I.S

Tra filosofia e tecnologia: può una macchina essere dotata di creatività?

[Arte e IA, episodio 2] 
A cura di Roberto Balestri
Hai già letto l'Episodio 1?

Che cos’è la creatività? Fermati un attimo a pensarci. Riesci a darne una definizione accurata? Se già trovi difficoltoso il semplice definirla, pensa a quanto possa esser complicato parlare della “creatività computazionale” di una macchina. Se una macchina fatta di circuiti e bulloni, non dotata di anima, spirito o vita creasse opere d’arte originali, in che cosa si differenzierebbe dall’artista umano? Crollerebbe l’idea che un’opera d’arte sia il riflesso della personalità dell’artista o, al contrario, considereremmo la macchina stessa dotata di personalità?

Indubbiamente, questi, sono nodi difficili da sciogliere. Questo articolo si pone come panoramica sulle varie definizioni di “creatività”, umana e artificiale, date da studiosi e “addetti ai lavori”.

Che cos’è la creatività?

L’iniziatore sugli studi relativi all’intelligenza creativa è Joy Paul Guilford, psicologo statunitense vissuto nello scorso secolo.

Joy Paul Guilford (https://sonria.com/glossary/joy-guilford/)

Secondo lui la creatività sarebbe caratterizzata da nove fattori principali:

  • particolare sensibilità ai problemi
  • capacità di produrre idee
  • flessibilità di principi
  • originalità nell’ideare
  • capacità di sintesi
  • capacità di analisi
  • capacità di definire e strutturare in modo nuovo le proprie esperienze e conoscenze
  • ampiezza del settore ideativo
  • capacità di valutazione

L’argomento della creatività ha suscitato notevole interesse negli studiosi durante l’ultimo secolo.

Nel 2004 Margaret Ann Boden, professoressa in Scienze Cognitive presso il Dipartimento di Informatica dell’Università del Sussex, ha cercato di definire la creatività così nel suo The  Creative  Mind:  Myths and Mechanisms:

La creatività umana è qualcosa di misterioso, per non dire un paradosso. Un’ idea può essere creativa, mentre un’altra semplicemente nuova. Qual è la differenza? [..] Le idee creative sono imprevedibili. A volte sembra che siano impossibili, eppure si avverano. [..] La creatività è la capacità di inventare idee ed opere che siano nuove, sorprendenti e di valore. Con “idee” si intende concetti, poesie, composizioni musicali, teorie scientifiche, ricette di cucina, coreografie, battute e così via. Le “opere” includono dipinti, sculture, motori a vapore, aspirapolvere, ceramiche, origami, fischietti… e molto altro. Come suggeriscono questi esempi molto diversi, la creatività fa parte praticamente di ogni aspetto della vita. Non è una “facoltà” speciale, ma un aspetto dell’intelligenza umana in generale.”

Margaret Ann Boden (https://www.pinterest.it/pin/300052393903052083/)

Come apprendiamo dalle parole di Margaret Ann Boden, un’opera o un’idea, per essere creativa, deve essere nuova, sorprendente e di valore (sociale, affettivo, estetico etc.).

Un ulteriore approfondimento è dato dalle parole di Keith Sawyer, psicologo americano, nel suo libro Explaining Creativity: The Science of Human Innovation. Sawyer spiega che gli scienziati che studiano la creatività si possono dividere in due macro-gruppi basandosi sulla concezione che loro hanno della creatività: individualista o socioculturale.

R. Keith Sawyer (https://ed.unc.edu/people/r-keith-sawyer/)

Secondo l’approccio individualista, la creatività è “una nuova combinazione mentale che viene espressa nel mondo”:

  • Nuova, in quanto originale.
  • Combinazione, in quanto tutti i pensieri sono combinazioni di quelli già esistenti.
  • Espressa nel mondo, in quanto i ricercatori non possono studiare un concetto mai esteriorizzato e rimasto nella testa dell’ideatore.

L’approccio viene considerato “individualista” perché, probabilmente, molte delle combinazioni inventate da una persona non saranno necessariamente nuove per il mondo, ma finché sono nuove nella sua testa, allora possono essere ritenute creative.

Secondo l’approccio socio-culturale, la creatività è “la generazione di un prodotto che è considerato nuovo ed anche appropriato ed utile da un gruppo sociale adeguatamente istruito”. In questo caso, vengono considerati creativi solamente i “colpi di genio” (per esempio un’opera d’arte nuova, rivoluzionaria e fino a quel momento mai pensata) oppure le soluzioni a problemi difficili che nessun altro, all’interno del gruppo sociale, aveva ancora raggiunto.

Sawyer prende in considerazione solo questi due approcci, ma dice che esistono molti altri modi di intendere, suddividere e spiegare la creatività.

Insomma, una definizione assoluta del termine “creatività”, così come per quello di “intelligenza”, è ben lontana dall’essere scolpita (e, forse, mai lo sarà).

Creatività computazionale: una macchina può avere creatività?

L’attuale definizione di creatività computazionale è stata sviluppata nel corso degli anni in seguito a discussioni e controversie, riformulazioni e rielaborazioni, basandosi sull’instabile definizione di “creatività”.

Traducendo ciò che è scritto sul sito della ICCC’20, l’undicesima conferenza internazionale di creatività computazionale che si terrà quest’anno (posticipata causa Covid-19), organizzata dal Computational Creativity Conference Steering Committee (il principale gruppo di ricercatori attivo nella ricerca in questo campo), la creatività computazionale:

[..] è l’arte, la scienza, la filosofia e l’ingegneria dei sistemi computazionali che, assumendosi particolari responsabilità [quindi compiendo delle scelte in totale autonomia], mostrano comportamenti che degli osservatori imparziali riterrebbero creativi.

Nel 2019, invece, la creatività computazionale era stata definita dallo stesso organo come:

[..] un campo di ricerca multidisciplinare che si trova a metà tra intelligenza artificiale, psicologia cognitiva, filosofia e arte. L’obiettivo della creatività computazionale è quello di modellare, simulare o replicare la creatività utilizzando un computer, per raggiungere uno dei diversi scopi:

  • costruire un programma o un computer dotato di una creatività a pari livello di quella umana.
  • comprendere meglio la creatività umana e formulare una prospettiva algoritmica sul comportamento creativo nell’uomo.
  • progettare programmi che possano migliorare la creatività umana senza che siano, loro stessi, dotati di autonoma creatività.

Il campo della creatività computazionale si occupa di questioni teoriche e pratiche nello studio della creatività. Il lavoro teorico sulla natura e la corretta definizione della creatività viene eseguito parallelamente al lavoro pratico sull’implementazione di sistemi che esibiscono creatività, con un continuo scambio di informazioni tra i due processi.

Secondo la definizione ancora precedente, come riportato sulle pagine web relative alle ICCC (le conferenze internazionali di creatività computazionale) del 2011 e 2013, la creatività computazionale era:

[..] lo studio e la simulazione, con mezzi computazionali, di comportamenti, naturali e artificiali, che, se osservati nell’uomo, sarebbero considerati creativi.

Sembrava una descrizione più “diretta”, rispetto alle ultime due, di ciò che in realtà è la creatività computazionale, ma è stata abbandonata come definizione “ufficiale” nel 2013.
Tra la “vecchia” definizione e quella del 2019 si nota come sia stato sfumato il concetto di somiglianza tra creatività umana e computazionale, in quella del 2020 questo legame si è disintegrato completamente.

È soltanto con la definizione di quest’anno che gli studiosi hanno iniziato a concepire la “creatività” come un campo vastissimo, dove quella umana sarebbe soltanto una delle diverse sfaccettature della creatività. Scollegare i due concetti significa liberare la ricerca sulla creatività computazionale da quella costrizione che la obbliga a confrontarsi continuamente con la creatività umana. Penso che la rottura di questa catena le darà una spinta a progredire ancora più velocemente.

Insomma, può una macchina essere creativa? Può produrre arte? Forse sì, ma non è detto che lo faccia adottando una creatività di stampo umano.

Harold Cohen, inventore di AARON (una macchina di disegno automatico nata nel 1973 ed evolutasi nei decenni seguenti), rispose a quei teorici che durante la seconda metà del Novecento avevano negato la possibilità che un computer potesse produrre arte. Queste le parole finali dell’articolo di Cohen The furter exploits of AARON, painter su “Stanford Humanities Review” del luglio 1995:

Se Dreyfuss, Searle, Penrose o chiunque altro, credono che l’arte sia qualcosa che solo gli esseri umani possano fare, allora per loro, ovviamente, ciò che AARON fa non può essere arte. È [un concetto] bello e ordinato, ma evita una domanda a cui non è possibile rispondere con un semplice “sì” o “no”: è arte o non lo è?

AARON esiste; genera oggetti che mantengono una loro dignità, in termini umani, in qualsiasi raccolta di oggetti simili, ma prodotti dall’uomo, e lo fa con una coerenza stilistica che rivela un’identità chiaramente come quella di qualsiasi artista umano. Fa queste cose, inoltre, senza il mio intervento. Non credo che AARON costituisca una prova della capacità delle macchine di pensare, di essere creativi o di essere autocoscienti o di mostrare uno di quegli attributi coniati specificamente per spiegare qualcosa di noi stessi. Costituisce una prova dell’esistenza del potere delle macchine di fare alcune delle cose per le quali pensavamo fosse richiesto il pensiero [..] – e la creatività e l’autocoscienza – di un essere umano.

Se ciò che AARON sta facendo non è arte, che cosa, [..] a parte la sua origine, differisce dalla “cosa reale” [dall’arte “umana”]? Se non sta pensando, cosa sta facendo esattamente?

Harold Cohen e AARON, il robot pittore di sua invenzione (https://creativefuture.co/artificial-intelligence-machine-learning-in-creative-fields-creative-ai/)

L’arte che ha tratto maggiori benefici dall’utilizzo dell’intelligenza artificiale in campo creativo, infatti, è sicuramente quella pittorica. Nel prossimo articolo di questa rubrica sulle arti e l’intelligenza artificiale vi parlerò meglio di AARON.

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Roberto Balestri