Oggi noi tutti siamo abituati ad ammirare le quattro elegantissime equazioni di Maxwell. Quelle che, tuttavia, il grande James Clerk lasciò non erano quattro, ma ben venti equazioni (complicatissime e portate avanti con tecniche matematiche complesse che prevedevano, tra l’altro, l’uso dei quaternioni). Probabilmente Maxwell pensò di semplificarle ma non ne ebbe il tempo perché fu stroncato da un cancro all’addome all’età di 48 anni.
A scrivere sotto forma vettoriale e sintetizzare la teoria maxwelliana con rotori e divergenza ci pensò un fisico britannico di prim’ordine il cui nome attualmente è perlopiù ignoto al di fuori dell’ambito accademico: Oliver Heaviside. In parallelo anche Heinrich Rudolf Hertz cercò di “ripulire” l’aspetto della teoria di Maxwell, ma quando iniziò a farlo Heaviside aveva già avviato il lavoro di semplificazione.
Per alcuni anni, le equazioni furono chiamate “Equazioni di Hertz-Heaviside”. Poi, per ragioni ignote, le si chiamò solo “Equazioni di Hertz”. Nel 1905 Einstein le chiamò “Equazioni di Maxwell-Hertz”. Infine, anche il nome di Hertz subì la medesima sorte di quello di Heaviside, scomparendo e facendo sì che rimanessero le “Equazioni di Maxwell” a brillare nel firmamento.
Basso di statura, rosso di capelli e duro d’orecchi (per via della scarlattina che in giovanissima età ne danneggiò gravemente l’udito, condannandolo ad un progressivo isolazionismo), Heaviside abbandonò la scuola a 16 anni, lavorò come telegrafista fino a 24 anni, grazie ai buoni uffici di uno zio (acquisito) famoso, il cui nome era Charles Wheatstone, per poi dedicarsi esclusivamente allo studio della matematica e della fisica, in primis alla comprensione profonda della teoria dei campi elettromagnetici, la sua grande passione.
Da giovane Heaviside rivoluzionò le telecomunicazioni a livello globale e fu il primo a ipotizzare l’esistenza di una regione della ionosfera che ancora oggi porta il suo nome (reattanza, impedenza, induttanza, suscettibilità, permettibilità e molti altri termini sono stati introdotti da lui; sua l’invenzione del cavo coassiale e suoi i nomi di diversi effetti di elettrotecnica come l’effetto “pelle”), ma successivamente precipitò in una spirale crescente di eccentricità, decidendo di vivere da perfetto recluso.
Sostituì i suoi abiti con un kimono, gettò via i mobili mettendo al loro posto blocchi di granito, ricoprì le pareti della villetta in cui abitava con bollette del gas non pagate, modificò la sua dieta nutrendosi soltanto di latte e biscotti e, forse vittima di una sindrome depressiva di cui nessuno mai si occupò, incominciò ad inviare educate lettere di reclamo ai vicini che lo infastidivano, firmandole “His Wormship, Professor Oliver Heaviside” (W.O.R.M. cioè verme).
E’ davvero intrigante pensare che, sovente, il progresso scientifico e la tecnologia dipendano da persone brillanti che si muovono al confine tra il genio e la follia.