Nelle operazioni di ricerca e salvataggio, molto spesso, le tradizionali camere termiche non riescono a registrare la temperatura per via della presenza di oggetti che occludono la visuale. Immaginate, invece, se ci fosse la possibilità di poter usare un drone in grado di riuscire a vedere anche dietro gli ostacoli. È proprio quello che fatto un team di ricercatori della Johannes Kepler University di Linz, realizzando il primo prototipo di drone completamente autonomo in grado di vedere anche dietro gli ostacoli.
La maggior parte delle tecniche attualmente impiegate nelle operazioni di salvataggio, infatti, utilizza elicotteri con personale a bordo. Nei migliori dei casi vengono impiegati droni pilotati da remoto dotati di telecamere termiche in grado di rilevare la presenza di esseri viventi. È molto comune in queste circostanze lavorare in condizioni estreme dovute a terremoti o a crolli causati da fughe di gas (come quello del condominio di Miami). La possibilità di utilizzare un drone in grado di riuscire a vedere dietro gli ostacoli potrebbe essere una valida soluzione a questi problemi. Pensiamo ad una foresta, dove è praticamente impossibile riuscire a scorgere dietro le chiome degli alberi. Il drone della Johannes Kepler University, invece, riesce a scovare persone e animali anche nelle situazioni più avverse.
Ciò che conferisce al drone, messo a punto dal gruppo guidato dal prof. Oliver Bimber, la capacità di riuscire a “vedere” dietro gli ostacoli è l’Airbone Optical Sectioning (AOS). Questo approccio si basa, a sua volta, sulla tecnica della Synthetic Aperture (SA), ossia dell’apertura sintetica. Grazie a questa tecnica è possibile ottenere immagini con un’elevata profondità di campo, come se provenissero da camere con un diaframma molto ampio (dell’ordine dei metri, che sarebbero inutilizzabili in applicazioni di questo tipo). Quando si utilizzano ottiche con un diaframma così grande, infatti, si riesce ad ottenere una profondità di campo estremamente bassa, grazie alla quale i punti che non sono a fuoco risultano fortemente sfocati. I diaframmi più stretti (dell’ordine dei millimetri) delle camere tradizionali, invece, aumentano la profondità di campo e questo fa in modo di enfatizzare notevolmente tutto il volume di occlusione nelle immagini catturate.
I dati provenienti da più sensori di piccola apertura (o da un singolo sensore di piccola apertura in movimento) vengono combinati insieme. Questo consente di approssimare il loro comportamento a quello di un sensore ad ampia apertura, in modo da migliorarne la risoluzione, la profondità di campo, il frame rate, il contrasto e il rapporto segnale-rumore. Tale approssimazione è basata sulla teoria del campo di luce non strutturato, che rappresenta i pixel dell’immagine come raggi di luce 4D in un volume 3D. Come si vede nell’immagine sopra, le origini di questi raggi rappresentano la posizione delle rispettive telecamere, mentre le loro direzioni sono determinate sia dalle pose degli aeromobili che costituiscono il drone che dai parametri intrinseci delle telecamere stesse.
Una volta che l’immagine acquisita viene correttamente ricostruita e ripulita dagli ostacoli, un algoritmo di Computer Vision (CV) elabora le immagini termiche per riconoscere la presenza di esseri umani, animali o altre fonti di calore. Se il drone riceve una possibile corrispondenza (anche debole) da parte dell’algoritmo, allora si avvicina automaticamente per campionare nuovamente la regione con una precisione migliore. A questo punto, esso utilizza sia i propri sensori di posizione che quelli provenienti dall’AOS e dalle camere termiche per ricostruire il punto esatto in cui si trova la potenziale vittima da salvare e invia le coordinate alla squadra di soccorso.
Il “magico” drone, abile di vedere dietro gli ostacoli, si promette come una valida soluzione nelle situazioni di ricerca e salvataggio. Su 17 esperimenti condotti in tre differenti tipologie di foreste, in più mesi dell’anno e in diversi momenti della giornata, il drone è riuscito ad individuare ben 38 persone su 42, con una precisione media del 86%.
Il nostro drone consente operazioni di ricerca e salvataggio (SAR – Search And Rescue, n.d.r.) in aree remote senza una copertura stabile di rete, perché trasmette alla squadra di soccorso soltanto i risultati della classificazione che indicano le rilevazioni e può quindi operare con collegamenti a banda stretta intermittente (ad esempio, via satellite). Una volta ricevuti, questi risultati possono essere anche visivamente migliorati per una migliore interpretazione su dispositivi mobili remoti.
prof. Oliver Bimber
Così il prof. Bimber ha commentato i risultati ottenuti in fase di test, aprendo la strada all’utilizzo di una tecnologia davvero innovativa che può permettere -in un futuro non molto lontano- di rendere molto più affidabili, rapide e sicure le operazioni di ricerca e salvataggio nelle situazioni di emergenza.