La prefazione di Mario Draghi alla Strategia nazionale di cybersicurezza 2022-2026 parla chiaramente di maggiori investimenti sulla cybersecurity. In un decennio caratterizzato dall’acuirsi dei crimini digitali e da nuovi equilibri mondiali, anche l’Italia sembra aver iniziato a occuparsi in modo serio di trasformazione digitale. Sono stati molti i progetti intrapresi nel corso degli ultimi due anni per semplificare la pubblica amministrazione e renderla più accessibile dal web. Probabilmente la pandemia ha funto da acceleratore, evidenziando al contempo le tante e gravi carenze di sicurezza di cui siamo circondati. Ecco le ragioni della Strategia nazionale di cybersicurezza 2022-2026, presentata nei giorni scorsi dall’Autorità delegata per la sicurezza della Repubblica, Franco Gabrielli e dal direttore dell’Agenzia Nazionale, Roberto Baldoni.
Sono 82 gli obiettivi da realizzare entro il 2026 con la nuova strategia redatta dall’Agenzia per la Cybersicurezza nazionale. Obiettivi che rispecchiano cinque grandi sfide che determineranno lo scenario digitale dei prossimi anni:
Per raggiungere i propri scopi l’Agenzia ha ipotizzato di agire seguendo tre modalità: proteggere gli asset nazionali, rispondere ad eventuali minacce o incidenti e sviluppare le infrastrutture ma soprattutto la conoscenza collettiva in materia. Come spesso ci troviamo a ribadire nei nostri articoli, l’anello debole della catena è l’essere umano. Agire sulla popolazione, aumentando la conoscenza minima in materia di sicurezza, è uno dei principali punti su cui insistere e probabilmente fra i più difficili.
Molto spesso, la sicurezza digitale è vista come qualcosa di lontano e solo per specialisti. Invece, il mondo in cui viviamo è sempre più guidato dalla tecnologia ed è necessario che ciascuno di noi faccia la propria parte per mantenersi al sicuro ed evitare di diventare parte di attacchi più ampi.
Nella prefazione alla Strategia il Presidente del consiglio Mario Draghi ha scritto:
“È nostra intenzione intensificare i progetti di sviluppo tecnologico per arrivare a disporre di un adeguato livello di autonomia strategica nel settore” della cybersicurezza “e quindi garantire la nostra sovranità digitale Per farlo, sarà cruciale stanziare fondi adeguati, con continuità”.
Presidente del Consiglio dei Ministri
Sul fronte degli investimenti si parla di circa l’1.2% del totale lordo nazionale ogni anno da dedicare interamente al settore, oltre alle risorse provenienti dai vari bandi europei.
Nel documento presentato spesso ricorre il termine sovranità digitale che non deve però essere interpretata con significato politico. Quando si parla di sovranità digitale si fa riferimento alle capacità del paese di riuscire a governare il mondo tecnologico. Da un lato questo vuol dire poter possedere le adeguate tecnologie per far fronte a nuovi problemi e al contempo disporre delle dovute competenze in termini di forza lavoro.
Per spiegare il concetto con termini più semplici, se l’Italia, per risolvere un problema, deve far conto solo su ingegneri di una compagnia estera e su strumenti tecnologici di tale azienda, è chiaro che non è in possesso della sovranità in quell’ambito.
Per aumentare le nostre capacità è necessario investire in formazione di giovani e saperli trattenere affinché diventino la base solida di conoscenza su cui creare modelli di sviluppo digitale. Inoltre, non c’è sviluppo se le tecnologie sono datate e, pertanto, è necessaria la ricerca di sempre nuove soluzioni ai problemi ancora irrisolti.
La strada è probabilmente ancora lunga ma i primi passi sono nella direzione giusta. Solo negli anni a venire potremo valutare gli impatti di questi investimenti e capire se avranno prodotto i risultati sperati.