Digital light processing o DLP: quando la stampa 3D incontra il cinema
I giorni in cui la stampa 3D veniva affiancata alla sola prototipazione rapida sono ormai lontani, negli ultimi anni sono nate una moltitudine di tecniche di stampa e i materiali da stampa sono tra i più disparati e in continua evoluzione. Concentriamoci ora sulla tecnologia DLP acronimo di digital light processing, per capire il suo principio di funzionamento dobbiamo pensare al processo di stereolitografia in cui una luce laser UV fa polimerizzare un fotopolimero uno strato alla volta. Il laser UV innesca la reazione colpendo il polimero allo stato liquido, esso deve letteralmente disegnare il pezzo da produrre uno strato alla volta come se fosse un pennello.
Un inconveniente è sicuramente la lentezza di questo processo specie quando l’oggetto non è cavo e si devono “colorare” intere aree, un’idea potrebbe essere quella di impiegare più di un laser ma cosa succederebbe se estremizzassimo il concetto? Questa è l’idea alla base del processo di stampa DLP in cui lo spot laser viene sostituito da un proiettore, come quelli per l’home theater, ma con una lampada in grado di emettere luce UV, anche le risoluzioni sono quelle a cui siamo abituati ovvero 720p 1080p e 4k, come vedremo in seguito ciò influisce sui risultati di stampa
Come avviene la stampa? La si può considerare letteralmente a testa in giù
La stampante è costituita da un proiettore posto in basso, una vasca con fondo trasparente, fondamentale per permettere alla luce UV di raggiungere il polimero, e una piattaforma mobile lungo l’asse verticale anche detta build platform sulla quale il pezzo verrà a formarsi.
La piattaforma viene immersa nella vasca riempita di resina fino a sfiorarne il fondo, a quel punto il proiettore emette un fotogramma per un tempo sufficiente a far polimerizzare uno strato di resina pari al gap tra piattaforma e fondo vasca che rappresenta il layer thickness di stampa, a reazione avvenuta la piattaforma si solleva permettendo il passaggio alla nuova resina riportandosi poi in posizione, il tutto viene ripetuto quanto necessario. Alla fine di questo processo si ottiene l’oggetto come in figura, a testa in giù!
Il grande vantaggio consiste che l’intero slice ( fotogramma di una sezione dell’oggetto da ottenere) viene proiettata in qualche istante e non deve essere riprodotto dal passaggio di uno spot laser di piccole dimensioni, come risultato si ha che la tecnologia DLP è quasi insensibile alla quantità di polimero da far reticolare per un singolo strato.
Digital light processing: resine, parametri di processo e voxel
I parametri di processo di questa tecnologia sono:
- Layer thickness: come già anticipato rappresenta lo spessore dello strato polimerizzato di volta in volta, valori tipici possono andare dai 15÷150μm
- Critical Exposure: energia per unità di area minima (es. mJ/mm²) da fornire per polimerizzare la resina ad una profondità pari al layer thickness; dati questi questi due valori si può calcolare la velocità di stampa per una data resina, solitamente espressa in cm/ora e rappresenta il tempo che si impiegherà a stampare un pezzo di una data altezza indipendentemente dalla sua sezione.
Essi sono strettamente legati alla resina impiegata, i vari produttori offrono un ampio range di resine ognuna realizzata ad hoc per un specifica esigenza. Ciò è indispensabile poiché una piccola variazione anche solo nel colore di una resina, a parità di composizione chimica, causerebbe una variazione delle sue caratteristiche in fatto di assorbimento della luce ( e quindi anche dei raggi UV) cambiando drasticamente il risultato di stampa e perciò vengono solitamente forniti dal produttore della resina.
Un parametro invece legato alla stampante è sicuramente la risoluzione del proiettore, durante la proiezione dello strato da polimerizzare, o semplicemente slice, si verifica il fenomeno dell’aliasing proprio come per le immagini digitali; continuando a stampare il pezzo si ha una sovrapposizione di slice ognuno affetto da aliasing andando a formare un solido formato voxel ovvero da “pixel tridimensionali” ciò compromette la finitura superficiale e rappresenta in molte applicazioni la principale limitazione di questa tecnologia.
A cura di Elia Dal Lago