Il crowdsourcing: la nuova frontiera dei rapporti lavorativi

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Quante volte è capitato di avere l’idea per un progetto ma non i soldi o i mezzi per metterlo in pratica? Spesso i sogni sono più grandi degli strumenti che abbiamo a disposizione, e ci costringono a gettare la spugna. Se si potesse entrare in contatto con migliaia di persone in tutto il mondo, disposte a contribuire al progetto con le loro capacità e ad un prezzo esiguo? Questa possibilità esiste e si chiama crowdsourcing.

Il termine è l’unione di crowd (folla) e outsourcing (esternalizzare, appaltare ad esterni). Questo implica che la realizzazione di un compito o servizio deriva dal lavoro di un pubblico indefinito, e non da un gruppo specifico nominato per l’occasione, quindi da utenti che prendono parte all’iniziativa per libera scelta.

La nascita del crowdsourcing

A coniarlo fu Jeff Howe, che nel 2006 pubblicò un articolo su Wired dal titolo “The Rise of Crowdsourcing”, in cui racconta diversi episodi portandoli come esempi di crowdsourcing moderno. Al di là del termine però, questa pratica ha in realtà origini ben più antiche.

Il primo caso di crowdsourcing documentato si può infatti ritrovare nel 1714, quando il governo Britannico offrì 20.000 sterline alla persona che sarebbe riuscita a misurare nella maniera più precisa possibile la posizione longitudinale di una barca, istituendo così il primo Longitude Prize. Questo esempio sottolinea un altro dei principi fondamentali del crowdsourcing: l’innovazione e la creatività necessarie per portare a termine un compito possono provenire da chiunque.

Il crowdsourcing, una pratica che negli ultimi anni ha preso sempre più piede e che ha rivoluzionato l’idea classica del lavoro.
Uno schema descrittivo di ciò che il crowdsourcing comprende e comporta. Credits: www.synthetron.com

Le abilità del grande pubblico possono effettivamente portare un beneficio alle aziende, e in generale a chi ha bisogno di ottenere un prodotto o servizio senza dover sostenere un costo eccessivo. Il contributo del singolo, infatti, è di per sé minimo e non richiede generalmente un grande sforzo, ma i singoli contributi offrono un prodotto finale che ha un alto livello di qualità e un costo molto inferiore rispetto a quello che si sarebbe dovuto affrontare rivolgendosi a un privato.

Un’azienda che ha utilizzato questa pratica è Citroen. Qualche anno fa ha creato un’applicazione per permettere agli utenti di definire il design di una city car in edizione speciale: ogni design caricato poteva essere votato dagli altri utenti, e alla fine l’azienda ha selezionato quello che era stato più apprezzato. Questa iniziativa ha permesso alla Citroen di sfruttare l’ingegno comune per la realizzazione di un design, senza dover spendere tempo e denaro.

Crowdsourcing e Internet: il binomio vincente

Il fatto che il crowdsourcing venga associato immediatamente alla rete e a Internet deriva da una motivazione molto semplice, che è quella legata all’estrema facilità di comunicazione che offrono le nuove tecnologie, rendendo possibile collaborazioni da tutto il mondo, e permettendo di raggiungere qualsiasi persona sia interessata a prendere parte ad una specifica iniziativa.

Due degli esempi più lampanti di crowdsourcing su Internet, che utilizziamo tutti i giorni in larga misura, sono Wikipedia e Youtube. In entrambi i casi, il caricamento di informazioni e contenuti multimediali è ad opera di chiunque voglia collaborare, coinvolgendo quindi un pubblico ampio e diverso per cultura, capacità, conoscenze e opinioni. La mole di informazione che questi due servizi offrono è immensa, ed è impossibile pensare che la stessa quantità (e qualità) di dati possa essere fornita da un unico ente che fa utilizzo di un gruppo selezionato di persone.

Il crowdsourcing, una pratica che negli ultimi anni ha preso sempre più piede e che ha rivoluzionato l’idea classica del lavoro.
Pop-up dell’editor delle voci di Wikipedia. Credits: wikipedia.org

Altri esempi di siti di crowdsourcing sono Indiegogo e Flickr. Un famosissimo sito di design di loghi poi, utilizzato ampiamente dalle aziende, è 99designs: il sito permette di descrivere l’attività per cui si necessita il logo, definendo tutti i dettagli necessari, dopodiché si sceglie uno dei pacchetti proposti, ognuno dei quali offre un numero e una qualità diversi di proposte a seconda del prezzo che si è disposti a pagare.

Una volta definiti questi parametri, il contest viene aperto e reso accessibile alla community di designer, provenienti da tutto il mondo. Alle proposte ottenute si possono lasciare feedback, chiedere migliorie e contattare l’autore; alla scadenza del contest, l’azienda sceglie il vincitore e può utilizzare il design ottenuto.

Il crowdsourcing, una pratica che negli ultimi anni ha preso sempre più piede e che ha rivoluzionato l’idea classica del lavoro.
Il logo del famoso sito stackoverflow, realizzato con 99designs. Credits: stackoverflow.com

Un altro nome molto famoso è Freelancer.com, una piattaforma che offre un bacino da cui attingere professionisti di vari settori. Utilizzarlo è molto semplice: l’azienda si registra, pubblica un progetto, definisce un budget e attende che i freelancer si facciano avanti, valutando le proposte migliori.

Si può affermare quindi che il crowdsourcing ha cambiato radicalmente il modo di lavorare delle aziende, che negli ultimi anni hanno scelto questo nuovo modo di lavorare come canale preferenziale.

Il crowdsourcing è anche condivisione di opinioni, recensioni, commenti, e ciò attenua il rischio di selezionare persone non sufficientemente qualificate.