Creatività artificiale o imitazione stocastica? Un’analisi critica dell’AI

L’intelligenza artificiale può essere davvero creativa? Può un algoritmo generare idee originali, innovative, capaci di emozionarci e stupirci come le opere d’arte create dall’uomo?” Agli albori dell’informatica consumer, Steve Jobs, in un intervista, offrì una delle sue riflessioni più sagaci e famose, definendo il computer “una bicicletta per la mente”. Il computer avrebbe amplificato le capacità cognitive dell’uomo, permettendogli di esplorare nuovi orizzonti del pensiero. Seguendo l’esempio di Jobs, anche noi dobbiamo interrogarci e riuscire ad immaginare il futuro dell’intelligenza artificiale, in particolare, la sua capacità “creativa”.

Cosa si intende esattamente per creatività? È la capacità di generare nuove idee, di trovare soluzioni originali ai problemi, di esprimere emozioni e pensieri in modo innovativo. L’intelligenza artificiale, sempre più potente, si nutre di Internet e della sua immensa disponibilità di dati, può davvero sostituirci nel lavoro ed esprimere una maggiore creatività? Cercheremo di capire come l’AI stia trasformando tale concetto, analizzando le differenze fondamentali tra: creatività umana e quella computazionale

Creatività computazionale

Cosa si intende per creatività computazionale? Geraint A. Wiggins, uno dei fondatori del campo di ricerca della creatività computazionale, la definisce: “… lo studio tramite mezzi e metodi computazionali di comportamenti esibiti dai sistemi naturali ed artificiali che sarebbero considerati creativi se esibiti da umani“. La creatività computazionale si propone di replicare o simulare i processi creativi umani attraverso l’uso di computer e algoritmi.

Ad esempio, l’AI può essere utilizzata per generare opere d’arte, comporre musica, scrivere testi e persino ideare soluzioni innovative. Le reti neurali, in particolare, sono strumenti potenti per la creatività computazionale, in quanto possono apprendere da grandi quantità di dati e generare output originali e sorprendenti. Dopo la creatività computazionale, addentriamoci ora nel più affascinante e complesso mondo della creatività umana.

La Creatività Umana

La creatività, un concetto tanto affascinante quanto sfuggente, è spesso definita come la capacità di generare idee originali e innovative. Edward de Bono, pioniere del pensiero laterale, ci invita a “uscire dagli schemi”, ovvero affrontare un problema osservandolo da diverse angolazioni, per stimolare la nostra creatività. Mentre, Arthur Koestler, con la sua proverbiale arguzia, la descrive come “l’arte di sommare due e due ottenendo cinque”.

A differenza delle macchine, dotate di algoritmi e dati, la creatività umana è un processo intrinsecamente legato all’esperienza, alle emozioni e alla coscienza. Le nostre migliori intuizioni spesso affiorano in momenti di apparente oziosità – prima di dormire, mentre si passeggia, sotto la doccia – quando la mente è libera di vagare e di creare nuove connessioni. La creatività, infatti, sembra sfuggire al controllo della volontà. Come sottolineava Albert Einstein, “la creatività è l’intelligenza che si diverte“. De Bono, nel suo approfondito studio sulla creatività, individua quattro pilastri fondamentali:

  • Motivazioni: Predispongono la mente alla sperimentazione e all’elaborazione di idee nuove e creative
  • Pensiero laterale: Rompere gli schemi, aiuta a trovare o creare nuove strade.
  • Esperienza: Fondamentale per riconoscere un’idea creativa che possa funzionare.
  • Umorismo: Simile al pensiero laterale, è capace di trasformare percezioni e atteggiamenti mentali precostituiti.

La bisociazione e il processo creativo

Le idee strampalate aiutano la creatività? Per rispondere a questa domanda ci facciamo aiutare dal filosofo Arthur Koestler, il quale introduce un concetto creativo innovativo e originale: la bisociazione. Per la risoluzione di un problema, spesso associamo idee o concetti che hanno punti in comune. Koestler rompe gli schemi e descrive la bisociazione come uno scarto di pensiero, ovvero l’introduzione di un’idea che apparentemente, sembra fuori luogo. O meglio, la capacità di riconoscere connessioni tra elementi di pensiero apparentemente isolati.

Trovato questo punto creativo e innovativo tra idee o concetti non adiacenti, un processo cognitivo inverso ricostruisce il percorso che ha portato alla soluzione. Questo processo, simile a una ricostruzione a ritroso, permette di analizzare le connessioni tra le idee e di comprendere come la bisociazione abbia portato a una nuova soluzione. Il processo cognitivo inverso aiuta a comprendere come si è arrivati all’intuizione creativa, analizzando le connessioni tra le idee.

Gutemberg e la stampa: un esempio di bisociazione

L’invenzione della stampa a caratteri mobili è un classico esempio di bisociazione. Gutenberg si trovò di fronte al problema di come disporre i caratteri mobili su di una pagina per ottenere una stampa uniforme. Osservando il torchio usato per spremere l’uva, ebbe un’intuizione geniale: adattò il meccanismo del torchio come pressa tipografica, creando così un sistema per imprimere i caratteri sulla carta in modo preciso e omogeneo. La sua capacità di connettere due processi apparentemente distanti – la spremitura dell’uva e la composizione dei caratteri – portò a una delle invenzioni più rivoluzionarie della storia.

Creatività computazionale, Generative AI

Tecnologie come il Deep Learning, il Machine Learning e i Large Language Models, alla base della Generative AI, stanno aprendo nuove frontiere nella creatività computazionale. La Generative AI, tuttavia, solleva importanti interrogativi su quale sia il confine tra creatività umana, arte e tecnologia.

L’impatto della Generative AI sull’arte ci offre interessanti spunti di riflessione. Nel 2022, il concorso d’arte Colorado State Fair è stato vinto da un’immagine generata dall’AI dal titolo “Théâtre D’opéra Spatial“, realizzata con Midjourney. L’episodio ha scatenato un acceso dibattito. Al di là delle polemiche, il dubbio era: a chi va attribuito il merito dell’opera? Chi è il vero artista? Il Prompt Designer che ha fornito le istruzioni, a Midjourney, all’intelligenza artificiale? O entrambi?

Una questione analoga si presentò alla nascita della fotografia. Nel 1826, il francese Joseph Nicéphore Niépce riusciva ad ottenere e fissare la prima immagine fotografica della storia. Inizialmente, la fotografia non fu considerata una forma d’arte al pari della pittura, e i fotografi furono a lungo osteggiati. In entrambi i casi l’uso della tecnologia, nell’arte, ha sollevato dubbi e resistenze.
Nel 1964, i primi computer iniziavano a diffondersi negli uffici. L’entusiasmo per le nuove possibilità offerte dal “data building” si mescolava alla preoccupazione che le macchine potessero sostituire l’uomo. In questo clima, un’agenzia pubblicitaria newyorkese (Young&Rubicam) lanciò una campagna stampa il cui slogan era: “Computers can’t cry“, sottolineando l’incapacità dei computer di provare emozioni.

Capaci sì di elaborare dati, ma incapaci di suscitare emozioni, cosa che solo una persona può fare. Dopo sessant’anni, siamo passati dal ‘data building’ ai ‘big data’. Oggi l’AI è in grado di creare storie, narrazioni capaci anche di creare emozioni, Ma la capacità di generare emozioni, pur essendo un passo avanti notevole, non è sufficiente per definire un’intelligenza artificiale creativa.

I computer possono pensare?

Quasi settant’anni fa, Alan Turing, per dare risposta a questo interrogativo, creò il test di Turing. In breve, in una conversazione testuale ad un uomo viene chiesto di determinare se l’interlocutore è una macchina o un altra persona. Se l’attore identifica le risposte date dalla macchina come date da un uomo, allora la macchina è considerata intelligente.

I CAPTCHA (Completely Automated Public Turing test to tell Computers and Humans Apart), altro non sono che un test di Turing inverso, ovvero è la macchina che cerca di distinguere un’altra macchina da una persona. Esiste anche il Turing Test by Failure, che consiste nel porre quesiti così complessi o complicati che chiunque “su due piedi” non è in grado di risolvere. Si considera passato il test se lo sbaglia. Ma la domanda che dobbiamo porci oggi è: I computer sono creativi?

I limiti della creatività computazionale

La creatività richiede una profonda interiorità: un humus interiore dove intuizione, immaginazione ed emozioni possono sbocciare, dando vita a un punto creativo, unico e irripetibile. Allo stato dell’arte le Generative AI possono essere considerate “pappagalli stocastici“. Come un pappagallo stocastico, l’AI si limita a ripetere, senza comprenderne il significato, basandosi solo su probabilità  e associazioni.

Pensate a Picasso mentre creava Guernica: non cercava schemi o associazioni ricorrenti, stava esprimendo un’emozione, per commemorare le vittime del bombardamento aereo dell’omonima città basca durante la Guerra civile spagnola. Le AI generative, pur producendo risultati sorprendenti, si limitano a imitare schemi preesistenti appresi dai Dataset, senza una reale comprensione dell’intento creativo.


L’output dell’AI non è frutto di un processo di astrazione, una creazione vera e propria, ma piuttosto una riproduzione di pattern ricorrenti, individuati grazie all’apprendimento fatto con Insiemi di apprendimento. Ad esempio, un’AI generativa addestrata su milioni di immagini di gatti potrà generare nuove immagini di gatti realistici, ma non sarà in grado di “inventare” un animale completamente nuovo o di dipingere un gatto con uno stile pittorico mai visto prima. Si limita a rielaborare e rimaneggiare strutture e stili che ha appreso dai dati.

È un processo di “crafting” che simula l’atto creativo, come restituire un’immagine da un testo scritto (prompt), ma che non può ancora eguagliare la complessità e l’originalità della creatività umana. Questi processi statistici tendono a cercare pattern ricorrenti, i più probabili. Quindi in realtà è inverosimile pensare che l’AI si possa sostituire completamente la creatività umana, ma più probabilmente, tenderà a meccanizzare l’innovazione. Un fenomeno analogo a quello verificatosi con lo sviluppo della produzione su larga scala. In questo tipo di produzione i prodotti non erano personalizzati, ma fatti in serie, tutti uguali. Una serie di copie con qualità inferiore che tra le altre cose, ha abituato le persone a standard qualitativi medi.

Le allucinazioni dell’AI: una forma di creatività?

Sono forse le “allucinazioni” il vero momento creativo dell’AI? Ma cosa sono esattamente queste “allucinazioni” e come si differenziano dalla creatività umana? Le “allucinazioni” di un’AI si verificano quando i modelli matematici, in modo del tutto accidentale, generano output falsi, fuori luogo, inventati, che non trovano riscontro nei dati di addestramento. In pratica, l’AI produce risposte anomale e inaspettate, come quando una Generative AI ha suggerito di aggiungere colla sulla pizza per evitare che il formaggio cadesse.

Mentre la creatività umana si basa sull’intuizione, l’immaginazione e una profonda interiorità, l’AI, come un “pappagallo stocastico“, si limita a elaborare e ricombinare schemi preesistenti, basandosi sulla probabilità statistica. Le allucinazioni, invece, sono anomalie, deviazioni impreviste nell’esecuzione dell’algoritmo, come se il software, per un breve lasso di tempo, si discostasse dal codice sorgente generando output inaspettati. Proprio per questo, le allucinazioni potrebbero essere considerate una forma di creatività: seppur in modo accidentale, l’AI produce qualcosa di nuovo, inaspettato, andando oltre la semplice imitazione. In questo senso, le allucinazioni ci ricordano che anche nell’apparente rigidità dell’algoritmo può emergere l’imprevedibilità, il caso, la sorpresa, proprio come nella creatività umana, dove la serendipità gioca spesso un ruolo a volte fondamentale.

Le cause di queste allucinazioni sono molteplici: mancanza di dati, overgeneralization sovrageneralizzazione o, al contrario, overfitting. Quest’ultimo, in particolare, si verifica quando un modello viene addestrato con troppi dati, finendo per “memorizzarli” anziché “comprenderne” gli schemi. Questo può portare l’AI a generare output distorti, influenzati da una sorta di “rumore bianco” generato dai dati, e quindi ad “allucinare”. Ma al di là delle cause tecniche, le allucinazioni, ci pongono una domanda fondamentale: la creatività è esclusiva dell’uomo o può manifestarsi anche in sistemi artificiali, attraverso processi apparentemente aleatori?

Conclusioni

Alla domanda: l’intelligenza artificiale potrà mai essere più intelligente di quella umana? La risposta è: dipende! Bisogna distinguere, se per intelligenza intendiamo la capacità di elaborare dati e fare calcoli, allora la risposta è sì. Non solo i computer, ma anche le macchine calcolatrici meccaniche riuscirono a superare la velocità di calcolo di un uomo. Ma se ribaltiamo paradigma chiedendoci: l’intelligenza artificiale potrà mai eguagliare la creatività umana, cioè la capacità di generare qualcosa di veramente nuovo e originale, allora la risposta è no.

Come abbiamo visto, le AI, anche le più avanzate, sono ancora dei “pappagalli stocastici” che si limitano a ricombinare schemi preesistenti. La vera creatività, quella che porta a strutture, formule e comprensioni nuove, nasce dalla comprensione profonda del mondo che ci circonda, un’abilità che, almeno per ora, rimane una prerogativa dell’intelligenza umana. Un sentito ringraziamento va a Sergio Spaccavento, per la generosa condivisione delle sue slide e per l’opportunità di partecipare alla sua stimolante Masterclass. La sua competenza e passione sono state fonte di grande ispirazione. L’esperienza ha arricchito notevolmente la mia comprensione dell’argomento e ha contribuito in modo significativo alla stesura di questo articolo.