Ogni corso di informatica, universitario o scolastico, include sempre nelle sue lezioni il “Gioco della vita”. È uno dei primi programmi che gli informatici si trovano a scrivere, tanto semplice da implementare quanto affascinante nel suo significato. Dietro la simulazione più conosciuta dell’informatica c’è John Conway.
Scomparso l’11 Aprile scorso a causa del coronavirus, Conway è considerato uno tra i più grandi matematici del ‘900, avendo raggiunto risultati in vari settori di ricerca. Professore all’università di Princeton, ci ha lasciati a 82 anni.
Nato nel 1937 a Liverpool, John Conway è sempre stato affascinato dalla matematica, fin da bambino. Il suo amore non è mai scemato, e i suoi contributi sono stati decisivi in diversi settori di ricerca. In particolare, le aree dei suoi studi comprendevano la teoria dei gruppi, la teoria dei giochi, la teoria dei nodi, la teoria dei numeri e l’impacchettamento di sfere.
Conway scrisse diversi libri divulgativi sulla matematica, e contribuì anche allo sviluppo del ramo della matematica ricreativa. In questo frangente si colloca la sua invenzione più nota: il “Gioco della vita” (Game of Life).
Nel 1964 ottiene il dottorato in Matematica al Sidney Sussex College di Cambridge, dove comincia ad insegnare nello stesso anno. Nel 1986 si trasferisce a Princeton, negli Stati Uniti, dove succede alla cattedra di matematica di John von Neumann.
Conway fu anche l’ideatore dell’algoritmo Doomsday, un metodo per calcolare il giorno della settimana di una qualsiasi data (sia passata che futura). L’algoritmo si basa sul fatto che ogni anno ci sia un particolare giorno della settimana, chiamato doomsday, nel quale cadono molte date facili da ricordare. Tra queste, ad esempio, il 4/4, 6/6, 8/8, 10/10, 12/12 e l’ultimo giorno di Febbraio in anni non bisestili. Con l’applicazione di questa e altre semplici regole, è possibile calcolare a mente il giorno della settimana in cui cadrà una specifica data.
Il “Gioco della vita” o “Game of life” non è propriamente un gioco: non ci sono giocatori e non c’è vittoria o sconfitta. La simulazione di Conway è un automa cellulare che ha lo scopo di mostrare come, da poche e semplice regole iniziali, si evolve la vita (o un comportamento simile ad esso). L’idea, che è alla base dell’ecobiologia, è stata poi sviluppata in diverse varianti e topologie: in 3D, con tipi diversi di cellule o con altre regole biologiche.
Alla base c’è sempre il concetto di osservare come, a partire da un pattern iniziale, si evolve la colonia nel corso del tempo, a seconda dello stato precedente. L’invenzione originale prevede una griglia di celle quadrate, come una sorta di scacchiera che però si estende all’infinito in ciascuno dei 4 lati. Si può pensare ad ogni cella come una cellula, che può trovarsi in uno tra due stati: viva (colorata) o morta (vuota).
Nel gioco si procede per step. Per calcolare lo stato che avrà una cella nel passo successivo si tengono in considerazione due variabili: il suo stato attuale e lo stato dei suoi vicini. Con “vicini” si intendono le 8 celle che si trovano attorno a quella presa in considerazione. Il gioco ha 3 semplici regole:
Il gioco della vita è uno degli esempi più semplici dei cosiddetti “sistemi auto-organizzati” o con “complessità emergente“, in cui il sistema si sviluppa attraverso influenze che provengono dai suoi stessi elementi. Questi sistemi, inoltre, esibiscono le cosiddette “proprietà emergenti”, ovvero delle proprietà che sono definibili in maniera macroscopica ma difficilmente impredicibili se si considerano solo le leggi delle sue componenti.
Tra gli “oggetti” più famosi che si possono ottenere col “Gioco della vita” ci sono gli schemi statici e quelli ripetuti o oscillatori. Nel primo caso, a partire da una certa configurazione iniziale, si arriva ad un pattern stabile, che non si evolve più. Un esempio è il quadrato 2×2 di celle vive, oppure l’ “alveare“.
Nel caso degli schemi oscillatori ci troviamo di fronte a pattern che evolvono da step a step, ma si ripetono, assumendo quindi solo due forme alternate. È il caso del blinker o del rospo.
Conway ha dedicato tutta la sua vita alla matematica, apportando contributi decisivi a teorie che sono ora il fondamento delle ricerche moderne. Non è diventato famoso come John Nash, anche se i suoi studi non sono stati affatto da meno. Forse a causa della sua personalità più chiusa, o per via del fatto che aveva interessi estremamente vasti e non si concentrava su un unico problema, il matematico inglese non è conosciuto come altri nomi dello scorso secolo. Vale la pena invece approfondire le teorie e le invenzioni di Conway: siamo sicuri che il suo punto di vista sulla matematica vi affascinerà.
Vi lasciamo con le parole del prof. Vincenzo Giordano:
Negli anni Settanta del secolo scorso John Conway inventò il gioco “Game of Life”. Strane creature nere scorrazzano in giro per una griglia di piastrelle bianche, cambiando forma, crescendo, collassando, immobilizzandosi e morendo.
Il modo migliore per giocare a Life (come è comunemente noto) è quello di scaricarlo sul computer o sul cellulare. Life si gioca con pedine nere su una scacchiera potenzialmente infinita di caselle quadrate. Ogni casella contiene una pedina oppure è vuota. Si parte da una configurazione iniziale di organismi, celle occupate che evolvono nel tempo seguendo alcune semplici regole “genetiche” di vita, di morte e di sopravvivenza.
Si tratta di regole che non riguardano soltanto la singola cella, ma anche le otto celle vicine, quelle cioè che le sono immediatamente adiacenti, orizzontalmente, verticalmente e diagonalmente. Una pedina (nera) sopravvive fino alla generazione successiva, cioè rimane nella medesima cella, solo se ha due o tre vicini (grigi). In caso contrario, muore.
Resta cioè al suo posto una cella vuota, se ha 4 o più vicini oppure se ne ha soltanto uno o nessuno.
La regola è chiara e spietatamente vera: in un ambiente sovraffollato o isolati, non si sopravvive. Molti preferiscono pensare che ad uccidere l’11 aprile scorso John Conway, uno dei più grandi matematici del Novecento, non sia stato il maledetto Covid-19 ma il fatto che a causa del distanziamento sociale, non avesse due vicini che potessero tenerlo in vita.