Computer quantistico: non è stata invertita la freccia del tempo
“Abbiamo creato artificialmente uno stato che si evolve in una direzione opposta a quella della freccia termodinamica del tempo”, afferma Gordey Lesovik, fisico quantistico dell’Istituto di Fisica e Tecnologia di Mosca che ha guidato il progetto di ricerca, apparso sulla rivista scientifica Scientific Reports e che nelle ultime settimane ha portato a molti ad affermare che abbiamo trovato un modo per “tornare indietro nel tempo”.
L’esperimento quantistico
“Invertire la direzione del tempo su un singolo elettrone” era l’obiettivo di Lesovik, che insieme a un gruppo di ricercatori presso l’Argonne National Laboratory in Illinois, ha eseguito migliaia di esperimenti sul computer quantistico IBM Q.
Ci sono riusciti? Sì, per ben l’85% delle volte. Gli scienziati sono riusciti a riportare il computer al suo stato precedente ma solo su un sistema semplificato a due qubit. Con l’aumentare dei qubit, e di conseguenza, della complessità, lo scenario diventava troppo caotico e l’intento è riuscito solo nel 49% delle volte.
L’esperimento è stato fatto in quattro fasi. Inizialmente ogni qubit è stato inizializzato a uno stato “zero”, corrispondente alla sua condizione iniziale. Successivamente veniva degradato grazie all’azione di un programma evolutivo che portava lo stato del qubit a un insieme mutevole di “1” e “0”. La fase successiva consisteva in un apposito programma che forzava lo stato del computer a tornare “indietro”. infine, il programma evolutivo poteva produrre la rigenerazione dello stato iniziale.
Ma cosa significa? È stato osservato un elettrone mentre passava da uno stato in cui era perfettamente localizzabile a uno in cui non era più individuabile. Grazie a un algoritmo, applicato in un secondo momento, è stato compiuto il percorso inverso: l’elettrone, dal caos in cui non era più localizzabile, è tornato a essere individuato.
Così gli scienziati sono arrivati a delle importanti conclusioni per quanto riguarda l’origine della freccia del tempo: “(i) Per l’inversione del tempo è necessario un supersistema che manipoli il sistema in questione . Nella maggior parte dei casi, tale supersistema non può emergere spontaneamente in natura. (ii) Anche se un tale supersistema emergesse per qualche situazione specifica, la corrispondente inversione spontanea del tempo richiederebbe in genere tempi che superano la durata dell’universo.”
Infatti, come dimostrato dai ricercatori, ci vorrebbero 13.7 miliardi di anni per osservare 10 miliardi di elettroni localizzati ogni secondo per poter vedere una singola evoluzione inversa dello stato della particella. Quest’evoluzione inversa sarebbe comunque non maggiore di un decimiliardesimo di secondo.
Un supersistema di questo tipo è implementato dal cosiddetto computer quantistico universale, in grado di simulare in modo efficiente le dinamiche unitarie di qualsiasi sistema fisico dotato di interazioni locali. Lo stato di un sistema è codificato nello stato quantistico del registro qubit del computer e la sua evoluzione è governata dal programma quantistico, una sequenza delle porte quantistiche universali applicate al registro di qubit.
Siamo davvero in grado di viaggiare nel tempo?
Il teletrasporto quantistico non ha nulla a che fare con i viaggi nel tempo. Secondo le considerazioni di Eugenio Coccia, rettore del Gran Sasso Science Institute e prima direttore dei laboratori del Gran Sasso dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, la simulazione con il computer quantistico ha ricreato artificialmente un fenomeno molto improbabile rispetto a quello che si verifica normalmente in natura.
L’elettrone si è spostato da una situazione di maggior entropia, cioè di maggior caos, a una più ordinata. Questo passaggio ha una probabilità basissima di verificarsi in natura e in ogni caso si tratta di una condizione momentanea, dopo alcuni istanti di tempo, tutto ritorna secondo quanto descritto dalle leggi della fisica conosciute.
L’importanza di questo studio risiede nel fatto che aprirebbe la strada allo sviluppo futuro dei computer quantistici: “Il nostro algoritmo potrebbe essere aggiornato e usato per testare i programmi scritti per i computer quantistici ed eliminare rumore ed errori”, ha affermato Andrey Lebedev dell’Istituto di fisica e tecnologia di Mosca, tra gli autori dello studio.
Insomma, l’esperimento ha dimostrato la grande capacità di calcolo dei computer quantistici e ci permetterà di avere programmi sempre più efficienti sfruttando la conoscenza che abbiamo sulla meccanica quantistica.