La Cornell University ha reso possibile lo sviluppo di microrobot con a bordo circuiti integrati per il movimento autonomo e senza vincoli esterni. Le informazioni provenienti dai “cervelli” elettronici che costituiscono i microprocessori, guidano tali robot autonomi attraverso attuatori meccanici. Ed è proprio questo l’ostacolo fondamentale allo sviluppo dei robot microscopici: l’integrazione di sistemi informativi con microattuatori.
I ricercatori hanno raggiunto lo scopo costruendo microrobot autonomi di 100-250 micrometri, alimentati da luce e capaci di camminare a 10 micrometri al secondo. Tutto reso possibile grazie all’inclusione di elettronica a semiconduttori complementari di ossido di metallo (CMOS).
Indistinguibile ad occhio nudo, ogni singolo dispositivo è più piccolo della testa di una formica. Una visione ingranditata ne rivela la sua composizione in tre macro aree. In particolare, i circuiti integrati (IC) per il controllo, gambe per cammminare e pannelli fotovoltaici in silicio (PV) per alimentare entrambi.
Il cervello di ogni robot contiene un migliaio di transistor, oltre a una serie di diodi, resistenze e condensatori. Il circuito CMOS integrato genera un segnale che produce una serie di frequenze di onde quadre sfasate che a loro volta regolano l’andatura del robot. Quest’ultima infine, è il risultato delle gambe-attuatori, che sono fatte a base di platino (della misura di pochi nanometri).
La principale particolarità consiste nei circuiti integrati a bordo denominati ASIC (application-specific IC). Prodotti dalla X-FAB Silicon Foundries con processo a 180-nm su isolante, possono operare a meno di 1 microwatt di potenza grazie ai PV.
Il processo sviluppato, comprende 13 strati di fotolitografia, 12 incisioni e 11 depositi che coinvolgono 10 diversi materiali. Partendo dall’elettronica CMOS ricevuta da X-FAB, i ricercatori hanno prima inciso intorno al circuito del robot, poi depositato le interconnessioni. In seguito il metallo per schermare il circuito dalla luce e infine modellato gli attuatori e i pannelli rigidi per realizzare le gambe.
Una volta completati i robot, e inciso il substrato di silicio sottostante li hanno rilasciati in una soluzione acquosa; in genere una soluzione salina tamponata con fosfati (pH 7,5). Dopo aver liberato i robot, è stato possibile manipolarli individualmente con micropipette.
Per i loro test, gli accademici della Cornell hanno realizzato tre tipi di dispositivi. Il primo, così detto “Purcell-bot”, prende il nome dal fisico E. Purcell per via del movimento che rispecchiha il suo teorema della capasanta. Il robottino raggiunge la velocità di 5 µm/s, circa due lunghezze del corpo al minuto. Alimentato da una intensità luminosa minore di 1 kW su m², esegue un ciclo completo di andataura alla frequenza di 1 Hz.
Il secondo concept ha trovato ispirazione nel movimento delle formiche, facendo nascere “antbot”, robot esapode. Esso si muove ad una velocità media di circa 12 µm/s, circa tre volte la lunghezza del corpo al minuto. La frequenza di andatura è di quasi 2.5 Hz, in modo che possa muoversi di 5 µm per passo. Andatura che è comune a molti insetti, chiamata Andatura alternata del treppiede.
Costruire robot microscopici con tecnologia CMOS permette anche di crearne del tipo che cambiano il loro comportamento in risposta a stimoli esterni. I ricercatori, per dimostrare tale capacità, hanno creato “dogbot” che reagisce a semplici comandi. In questo caso, è la luce a guidare tali comandi per dire al robot di aumentare la sua velocità ad esempio.
Collettivamente, il lavoro della Cornell è l’inizio di una nuova “famiglia” di robot microscopici con numerosi design di “genere” permessi dai circuiti integrati. Tutti con differenti “specie” di strategie di locomozione. Ma grazie alla fotolitografia, gli scienziati assicurano di poter realizzare molti tipi differenti di design alla volta.
Il lead author dello studio, ricercatore postdoc, ha affermato:
Questo risultato ci permette di immaginare robot microscopici davvero complessi e altamente funzionali, con un alto grado di programmabilità, integrati non solo con attuatori, ma anche con sensori”. Siamo entusiasti delle applicazioni in medicina – qualcosa che potrebbe muoversi nei tessuti e identificare le cellule buone e uccidere quelle cattive – e nella bonifica ambientale, come se avessimo un robot in grado di scomporre gli inquinanti o di percepire una sostanza chimica pericolosa e liberarsene”.
Michael Reynolds, M.S. ‘17, Ph.D. ‘21.
Quindi anche se per ora il concept è semplice, il loro lavoro spiana la strada per promettenti applicazioni in molti campi.