-Articolo a cura di Bruno Brentegani
BJT vs MOS (MOSFET)– Conosciamo tutti le classiche frasi dei professori di elettronica “…in questo punto del circuito connettiamo un transistor…” “…qui ci viene in aiuto un transistor…” “…utilizziamo un transistor come interruttore…”. Spesso la successiva domanda degli studenti è “Sì, ma quale transistor?”
Questa domanda per la maggior parte degli studenti diventa un dubbio amletico. Effettivamente, nel mondo dei componenti elettronici, spesso e volentieri la varietà di componenti è infinita. Non fanno eccezione i transistor, i quali possono essere distinti tra loro attraverso un numero enorme di parametri sia elettrici che fisici.
Tuttavia si può fare una prima scrematura iniziale dividendo la famiglia dei transistor in due grandi famiglie: la famiglia dei “BJT: bipolar junction transistor” e la famiglia dei “MOSFET: metal-oxide-semiconductor-field-effect-transistor“ comunemente detto MOS.
La differenza principale tra le due famiglie risiede nella tecnologia con cui vengono realizzati. Senza entrare troppo in dettagli riguardanti chimica e fisica dei semiconduttori, il BJT viene implementato tramite una giunzione bipolare costituita da silicio drogato in maniere differenti in tre zone dette regione di base, regione di collettore e regione di emettitore.
I terminali delle tre regioni vengono metallizzati per creare i contatti che successivamente usciranno dal package del componente per poter essere saldati sulla scheda elettronica. L’applicazione di tensioni adeguate sui terminali di collettore ed emettitore e l’imposizione di un flusso di corrente nella regione di base fanno funzionare il BJT in una delle sue tre regioni di lavoro: saturazione e interdizione nel caso si voglia farlo lavorare come interruttore, zona lineare nel caso si voglia realizzare un amplificatore.
Il MOS (MOSFET) invece è strutturato in maniera differente tramite tre strati: lo strato di metallo, lo strato di ossido e quello di semiconduttore.
Il principio fisico su cui si basa è diverso rispetto a quello del BJT. I terminali sono sempre tre, cambiano solo i nomi: qui abbiamo gate, drain e source.
Come dice il nome stesso del transistor il funzionamento si basa sul cosiddetto effetto di campo che crea un canale in cui possono fluire gli elettroni tra source e drain, quando ai terminali sono applicate le corrette tensioni. Anche con questo dispositivo le regioni di lavoro sono tre: interdizione e triodo che determinano il funzionamento come interruttore e la saturazione che determina il funzionamento come amplificatore.
E’ bene fare subito chiarezza sulle regioni di funzionamento dei due dispositivi. La regione di saturazione del BJT non è la regione di saturazione del MOS nonostante abbiano lo stesso nome. Spesso vengono confuse anche dagli addetti ai lavori a causa dell’omonimia tra le regioni di funzionamento.
Fatta una sintetica panoramica sulle principali tecnologie costruttive, possiamo addentrarci nelle caratteristiche tecniche delle due famiglie di transistor per capire quali siano gli aspetti di maggiore rilievo che fanno pendere l’ago della bilancia dalla parte dei BJT o dalla parte dei MOS.
Nell’ambito digitale, ad esempio dei microprocessori e dei circuiti integrati regna sovrano senza rivali il MOSFET. La sua caratteristica di essere auto-isolato (auto-isolato: dispositivo che può essere implementato nella stessa regione di silicio assieme ad altri componenti ad esso uguali, senza interferire con il funzionamento dei dispositivi adiacenti, grazie ad un isolamento elettrico dato dal processo produttivo) rende molto facile la connessione in serie o in parallelo di questi dispositivi senza strati di silicio aggiuntivi, operazione che con i BJT non è possibile senza l’aggiunta di strati di silicio tra un transistor e l’altro. Questo riduce notevolmente i costi e la complessità del progetto rendendo il MOS il dispositivo perfetto.
Quando si comincia a parlare di commutazioni, trasferimento di potenza e quindi, di convertitori switching di potenza è opportuno riconsiderare il BJT. Infatti per il trasferimento di potenze maggiori di 1 kW e correnti superiori ai 200 A il MOSFET lascia il posto al BJT (e ad altri componenti che non trattiamo in questo articolo). Il BJT infatti regge potenze fino a 2 kW e correnti fino a 500 A. Tuttavia considerando che per le piccole potenze c’è bisogno di frequenze di commutazione elevate il MOS si rivela un’ottima scelta perché il BJT non sostiene elevate frequenze di commutazione. Inoltre nei convertitori switching la dimensione dei componenti, come induttori e condensatori, risulta inversamente proporzionale alla frequenza. Per cui se in fase di progetto si decide di alleviare le dimensioni dei componenti aumentando la frequenza di commutazione con il MOS possiamo andare fino a frequenze di qualche MHz contro i 100 kHz scarsi del BJT.
Altro aspetto in cui il MOSFET vince la battaglia con il BJT è il metodo di controllo. Nel BJT il circuito di pilotaggio deve essere in grado di dare corrente costante nella base del BJT, operazione non sempre facile soprattutto in fase di commutazione o quando si pilotano carichi che richiedono grandi quantità di corrente. Il MOS a sua volta deve essere pilotato con una tensione di gate costante molto più facile da ottenere sia in fase di commutazione sia in fase di pilotaggio di carichi che richiedono grandi correnti.
Tirando le somme entrambi i dispositivi concorrono per scopi simili con carichi differenti di lavoro. Sono pochi infatti i campi in cui una delle due famiglie vince totalmente sull’altra.
Questo articolo vuole solo essere una panoramica di base, ma l’ambito BJT vs MOSFET è molto più vasto: riguarda la realizzazione di amplificatori in banda audio, tematica scottante per gli elettronici che si occupano di audio, i diversi tipi di package, o le tecniche di dissipazione del calore e le varie configurazioni che riguardano i due dispositivi.