[Arte e IA, episodio 3] A cura di Roberto Balestri
Hai già letto l'Episodio 2 e l'Episodio 1?
Dopo i primi due episodi di carattere introduttivo, da oggi entriamo nel vivo della rubrica con qualche esempio concreto di arte prodotta da macchine considerate (più o meno) “intelligenti”. Come già accennato nel secondo episodio, la forma d’arte in cui le macchine si sono cimentate in maggior misura è quella figurativa. Oggi vi parlo di AARON, il robot pittore a cui Harold Cohen (1928-2016) iniziò a lavorare già nel 1973.
Cohen, nato a Londra, professore presso l’Università della California di San Diego e pittore già affermato internazionalmente con la partecipazione alla Biennale di Venezia del 1966, entrò per la prima volta in contatto con un computer nel 1968 presso la mostra “Cybernetic Serendipity” a Londra.
AARON, chiamato così perché sarebbe apparso per primo nella lista dei progetti dell’artista ordinata alfabeticamente, nacque come risposta ad un dubbio di Cohen. Infatti, come possiamo leggere dalle parole contenute nel suo articolo The further exploits of Aaron, painter sulla rivista “Stanford Humanities Review” del 1995:
“AARON iniziò la sua esistenza a metà degli anni Settanta, nel mio tentativo di rispondere a quella che sembrava, ma si rivelò non essere, una semplice domanda: “Quali sono le condizioni minime in base alle quali un insieme di segni possa esser considerato un’immagine?“
Al livello più semplice, non era difficile proporre una risposta plausibile: richiedeva la convinzione dello spettatore che i segni derivassero da un atto umano o simile a quello umano, [come] azioni eseguite da un programma per computer in possesso di capacità cognitive simili a quelle che usiamo per creare e capire immagini.”
Aaron è un generatore autonomo di disegni, una vera e propria macchina pittorica che non mostra il disegno su schermo, ma dipinge direttamente su tela tramite un piccolo robot disegnatore camminante chiamato “The Turtle” (poi sostituito negli anni Novanta da robot più specializzati, come quello mostrato nella foto precedente).
Harold Cohen, come riportato nel libro AARON’s Code di Pamela McCorduck, ha specificato che:
“una volta che il programma inizia a funzionare, AARON prende tutte le decisioni: non c’è modo per un essere umano di modificare il disegno in corso d’opera. Ogni disegno è unico, non perché AARON abbia una memoria archivistica e ricordi di non ripetersi, ma a causa delle ricche possibilità date da milioni di decisioni che AARON prende mentre disegna. Il processo di disegno di AARON si è sempre basato sull’idea di amplificazione: inizia con qualcosa di semplice e costruisce su di esso.”
Lo sviluppo del software ha richiesto decenni (tanto che si crede sia il software più longevo fino a oggi). AARON è stato programmato tramite un metodo di hard coding, cioè basato sull’immissione da parte del programmatore di regole if-then codificate rigidamente, pensate caso per caso, in netto contrasto rispetto alla programmazione dei software moderni di machine learning che imparano a riconoscere e generare immagini dopo un addestramento basato su una grande mole di dati multimediali come input.
Per capire meglio questa “codifica rigida”, possono aiutarci le parole dello stesso Cohen contenute nell’articolo del 1995 già citato in precedenza:
“[Ad AARON] è stato fornito un ampio set di regole per mezzo del quale è stato in grado di determinare quale parte sarebbe stata in primo piano sulla base della sua conoscenza della figura. [..] Se il polso sinistro è più vicino (nello spazio tridimensionale) rispetto al gomito sinistro e il gomito sinistro è più vicino (nello spazio tridimensionale) rispetto alla spalla sinistra, e il polso sinistro è a destra (nello spazio bidimensionale) rispetto alla spalla sinistra e il polso sinistro non è più in alto (nello spazio bidimensionale) rispetto alla spalla destra, il braccio sinistro oscurerà ovviamente il busto, che dovrà essere disegnato prima di esso.”
Il programma si è evoluto attraverso cinque fasi artistico-tecnologiche principali:
Le prime versioni di AARON non facevano molto, riuscivano a malapena a distinguere tra figure e sfondo, tra forme chiuse ed aperte. I disegni prodotti dal robot erano in bianco e nero ed era compito di Cohen colorarli.
Usando questa tecnica, AARON ha prodotto migliaia di disegni su scala diversa, dal fomato lettera a enormi murales.
Come con qualsiasi artista, il sistema AARON ha attraversato diverse fasi. Quelle prime forme, spesso simili ai disegni dei bambini, si trasformarono in figure più biomorfe. Ulteriori innovazioni durante gli anni ’80 hanno visto Cohen aumentare la base di conoscenze di AARON, aggiungendo più regole e forme, inclusi oggetti di uso quotidiano, piante e persone.
Nel 1995 Cohen debuttò con una versione di AARON che non solo disegnava le forme, ma poteva anche colorarle. Ciò richiedeva un software più complesso, e la sua realizzazione fu possibile grazie al passaggio dal linguaggio di programmazione C al LISP (linguaggio standard in ambito IA).
Il Computer Museum di Boston ospitò la mostra “The Robotic Artist: AARON In Living Color” nel 1995 per celebrare la creatura di Cohen, che, dopo tanto tempo, aveva finalmente imparato a colorare. La colorazione dei disegni era quasi indistinguibile da quella che Cohen aveva fatto a mano per i disegni di AARON un decennio prima. L’uomo, quindi, era riuscito ad addestrare la macchina a creare convincenti dipinti in stile “Harold Cohen”. Mica male, eh?
Dopo il 1995, Harold non apportò più modifiche sostanziali ad AARON, ma il suo lavoro non verrà mai scordato dalla comunità artistica. Dopo la morte di Cohen nel 2016, il leggendario pioniere dell’arte digitale Frieder Nake ha detto di lui:
“Nessuno al mondo ha fatto, nel campo delle belle arti, qualcosa di così coraggioso, audace e di successo come lui. Il suo approccio era unico in tutte le sue sfaccettature. Il suo ricco lavoro non ha pari.”
Per saperne di più, vi invito:
Per oggi è tutto, spero che questa rubrica vi stia affascinando. Nel prossimo episodio vi parlerò di Lejaren Hiller, colui che per primo riuscì a far comporre ad un computer un’opera musicale: la “Illiac Suite” del 1956.